Roma«Mi raccomando, prima la Finanziaria, poi la politica. E niente colpi a sorpresa». Dieci minuti, forse un quarto dora, trascorso serenamente insieme tra la Sala della Lupa, lascensore di Montecitorio, il corridoio e lufficio del presidente della Camera. Alle undici del mattino, nelle pieghe di un convegno di Italia decide, ecco Giorgio Napolitano che catechizza ancora Gianfranco Fini sui rischi del sistema Paese. Le lettere di dimissioni dei futuristi sono già sul Colle e il capo dello Stato sinforma sulle reali intenzioni di Fli. È più di un sondaggio, è meno di una chiacchierata: diciamo, una tastata di polso che il medico della crisi vuole fare in diretta a uno dei protagonisti della febbre. Dopo un po arriva anche Gianni Letta e il colloquio diventa quasi un vertice, che avrà poi una coda con una telefonata di Napolitano a Schifani. Sorrisi, frusciar di grisaglie, cordialità varie. Il capo dello Stato, che non intende «dilazionare» la crisi, ha preso già in mano la situazione e mette «i paletti». Così, ai suoi interlocutori chiede di abbassare i toni e spiega di non volere «sorprese istituzionali» o «soluzioni fantasiose». Nessun pasticcio: o si riforma una qualche maggioranza solida, o si ritorna alle urne. Cè ancora spazio per una trattativa? Si vedrà nelle prossime ore.
Intanto però luscita dal governo del ministro Andrea Ronchi, del viceministro Adolfo Urso e dei sottosegretari Roberto Menia e Antonio Buonfiglio certifica che la crisi è virtualmente aperta e che bisogna comportarsi di conseguenza. Ma prima che il virtuale diventi ufficiale servono comunque diversi passaggi. Proprio per «fare il punto della situazione» e mettere ordine nelle procedure da seguire, per stabilire insomma tempi e modi, Napolitano convoca per oggi pomeriggio al Quirinale Renato Schifani e Gianfranco Fini. Sul tavolo ci sarà la «guerra delle mozioni»: Silvio Berlusconi, per cercare la fiducia, dovrà presentarsi prima a Montecitorio o a Palazzo Madama?
Ma la prima questione che verrà affrontata è quella che sta più a cuore al capo dello Stato, la creazione di un corridoio privilegiato per la legge di stabilità e di bilancio. Una «priorità assoluta», vista anche limminenza di una grossa emissione di titoli di Stato: se la Finanziaria non venisse approvata, ci potrebbe essere un contraccolpo negativo sui tassi dinteresse, comè accaduto in Irlanda. Il problema sembra però superato. Maggioranza e opposizioni sono daccordo: il chiarimento politico ci sarà solo dopo il varo della legge.
Questo significa pure che slitteranno anche i tempi della crisi. La Finanziaria resterà infatti alla Camera una settimana, poi si sposterà al Senato dove rimarrà, si prevede, almeno una decina di giorni prima del voto finale. A quel punto, a dicembre, si aprirà la finestra per il chiarimento e si riproporrà la questione iniziale. Cioè, la battaglia delle mozioni: quella di sfiducia presentata da Pd e Idv alla Camera e quella di sostegno al governo depositata da Pdl e Lega al Senato. A quale ramo del Parlamento toccherà per primo? Sabato il Cavaliere ha spedito una lettera ai due presidenti delle Camere annunciando che si presenterà a Palazzo Madama perché lultima volta, il 29 settembre, era andato a Montecitorio. Il premier ovviamente cerca di giocarsi la partita dandata sul terreno più favorevole, in Senato, dove i numeri sono con lui, sperando che per il ritorno in qualche modo la situazione migliori.
Il nodo doveva essere sciolto proprio oggi dalle conferenze dei capigruppo, programmate inizialmente per le 9 e le 13 e poi annullate dopo la convocazione al Quirinale dei due presidenti. La disputa, fanno sapere dal Colle, «non è di pertinenza del presidente della Repubblica». Lo è invece la costruzione di un percorso «il più possibile sereno» per arrivare al chiarimento. Napolitano vuole che maggioranza e opposizione facciano «il massimo sforzo» perché questo difficile passaggio sia «il meno traumatico e conflittuale possibile» e chiede «senso di responsabilità». Gli daranno retta?
Improbabile.
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