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I tormenti di un Alfano al bivio: mollare Letta oppure sparire

Dal duello con Renzi al partito in difficoltà, quanti dubbi per il vicepremier. Per non ridursi come Fini potrebbe non sostenere il governo ancora a lungo

I tormenti di un Alfano al bivio: mollare Letta oppure sparire

Per Alfano toccata e fuga a Bruxelles, alla ricerca della benedizione di quelli del Ppe, con l'umore sotto i tacchi. Mille dubbi affollano la mente del vicepremier, sempre più convinto di essersi spinto un po' troppo in là. Si sente in un angolo, alla guida di una zattera che dovrà affrontare la tempesta. Tanti i motivi per cui Alfano è titubante, indeciso, debole, quasi pentito.
Il match con Renzi è andato male ma in fondo questo se l'aspettava. La conferma l'ha avuta dalla lettura dei giornali del mattino, tutti in coro a sottolinearne la débâcle. «Angelino ko», «rottamato», «battuto sei a uno», «fiaccato dalla verve dell'avversario» sono soltanto alcune delle stoccate riservategli dalle cronache dei maggiori quotidiani.
Con Renzi, Alfano deve per forza fare i conti. Ma, costretto a scenderci a patti, è più facile che con l'ex sindaco di Firenze sia destinato a incrociare le spade. I due hanno interessi opposti e, soprattutto attraverso la legge elettorale, Renzi potrebbe distruggerlo. Se il capo del Pd dovesse raggiungere la quadra con grillini e berlusconiani sul Mattarellum, per Alfano e il suo Nuovo centrodestra sarebbero guai seri. Il rischio è fare la fine di Fini: sparire.
Per adesso Alfano può contare su due stampelle: Letta e Napolitano. Ma fino a quando? Sul capitolo governo, Angelino sa bene che lodare e difendere a spada tratta ogni provvedimento sfornato da palazzo Chigi è sforzo titanico. Il malcontento cresce, i risparmi delle famiglie continuano ad essere erosi dal fisco, i segnali di ripresa o non ci sono o sono microscopici, e i forconi continuano a bussare minacciosi fuori dal Palazzo. Cementare l'esecutivo va bene, se fa. Se non fa o vivacchia allora sarebbe meglio prenderne le distanze per incassare consensi in campagna elettorale. L'ipotesi di sganciarsi resta, appunto, solo un'ipotesi. Ma è pacifico che fare il parafulmine di un governo fallimentare poi si paga. A ciò si aggiunga che qualche ruggine tra i colleghi ministri c'è eccome: pare che l'ultimo screzio si avvenuto con il guardasigilli Cancellieri.
Certo, c'è Napolitano: suo massimo sponsor e benefattore. Ma quanto può durare e quanto può servire il mantello protettivo del Colle se le larghe intese naufragassero sotto i colpi del Pd a guida renziana? Il capo dello Stato fino ad ora ha lavorato come un certosino per tenere in piedi il governissimo. Ma i numeri sono numeri e se Renzi dovesse dire «stop» e decidere di andare all'incasso elettorale, non ci sarebbe Napolitano che tenga.
Altro cruccio riguarda il partito. La fiammata del 7 dicembre scorso, quando Angelino arringò la folla della prima convention del suo Nuovo centrodestra sembra essersi un po' sopita. E Angelino adesso teme la sindrome di Mirabello. Allora, il primo raduno finiano dopo il «Che fai, mi cacci?» fu un successo di folla ed entusiamo. Ma poi fu lenta, inesorabile e continua discesa verso percentuali da prefisso telefonico. E se nelle speranze degli alfaniani il Ncd avrebbe dovuto fare da calamita per i forzisti titubanti, ora si segnalano i primi scettici proprio tra i governativi. Qualcuno - si maligna a Palazzo - se potesse tornerebbe col Cav.
Un rinculo? Un ritorno all'ovile berlusconiano? In fondo il Cavaliere ad Angelino vuole bene davvero e più volte, ai suoi, avrebbe confidato: «Se torna indietro e ammette che ha sbagliato lo riaccolgo a braccia aperte». Politicamente sarebbe un azzardo.

Tanto quanto andare avanti.

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