Finalmente un bravo papà, intelligente e coraggioso. Mi riferisco a Sting, famoso cantante e bassista inglese (il suo vero nome è Gordon Matthew Thomas Sumner, e stiamo parlando di una persona sola), il quale, senza fare una piega, ha dichiarato a un paio di giornali britannici di non avere alcuna intenzione di lasciare ai propri sei figli il patrimonio accumulato esibendosi sui palcoscenici di mezzo mondo. E si tratta di ben 180 milioni di sterline ovvero 225 milioni di euro.
Precisiamo che Sting non è arrivato in fondo al viale della vita: ha 62 anni e gli auguriamo di avere molto tempo ancora per eventualmente cambiare idea. Ma se terrà fede al proposito annunciato a mezzo stampa, cioè quello di non garantire alla prole una ricchezza smodata, noi saremo dalla sua parte. La rockstar infatti ha addotto motivazioni della cui bontà siamo convinti. Queste: i miei tre maschi e le mie tre femmine non vedranno un penny alla mia morte in quanto ho in mente tanti progetti, che comportano investimenti importanti, e desidero realizzarli tutti; mia moglie Trudie è assolutamente d'accordo; cosicché i ragazzi saranno costretti a lavorare sodo se vorranno guadagnare, esattamente come ho fatto io, nato povero e non per questo obbligato a rimanere tale l'intera esistenza.
Fra l'altro - ha aggiunto Sting - devo ammettere che nessuno di essi ha protestato nell'apprendere della mia decisione. D'altronde sono abituati ad arrangiarsi: raramente mi hanno chiesto un aiuto. Notizie come questa rincuorano. Dimostrano che c'è ancora qualcuno con la testa sulle spalle e sa educare i propri discendenti, insegnando loro che il denaro dei genitori - fatto salvo il mantenimento dei minori - non è una torta da affettare in famiglia secondo regole stabilite dalla legge, ma appartiene a chi se lo è procurato.
E nessuno può impedirgli di spenderlo e perfino di spanderlo a piacimento. Ogni rampollo è pregato d'ingegnarsi allo scopo di essere all'altezza delle proprie ambizioni, senza avere la pretesa di campare da re per diritto di successione.
Madre e padre hanno responsabilità pesanti ma delimitate: fornire il necessario alla figliolanza affinché cresca in salute fisica e mentale, abbia l'opportunità d'istruirsi e d'imparare un mestiere in maniera che possa affrontare il futuro con serenità. Al resto ciascuno provveda da sé in base al proprio temperamento e al proprio talento.
È assai difficile che in Italia la teoria Sting si affermi: noi siamo notoriamente familisti e consideriamo i figli «piezz 'e core», cosicché le mamme se li tengono aggrappati alle gonne finché non diventano (e rimangono) bamboccioni. Siamo innamorati della famiglia al punto che in Puglia è stata inventata la Sacra corona unita ovvero una famigliona, in Sicilia la mafia, in Calabria la 'ndrangheta e in Campania la camorra. Occorre riconoscere che abbiamo esagerato: queste organizzazioni sono nate a seguito di un'interpretazione estensiva e forzata del concetto di famiglia. Ma è indubbio che esse funzionino applicando criteri familiari. Spesso poi le famiglie criminali, ingrossandosi, si detestano e si combattono arrivando a sterminarsi, non del tutto, purtroppo.
Casi estremi, quelli citati. Non dimentichiamo però che hanno fatto scuola. Anche quella dei tangentari, in fondo, è una famiglia. E non trascuriamo che nel Belpaese anche la maggior parte delle aziende è a conduzione familiare con effetti talvolta positivi e talaltra negativi. I primi sono la passione e la tenacia nel lavoro. I secondi sono la tendenza dei figli che subentrano ai genitori nella guida delle imprese a sentirsi eredi anche delle capacità manageriali pur senza averne alcuna, col risultato di peggiorare i conti e di rischiare il fallimento. Fallimento che tradizionalmente è quasi certo allorché l'azienda sia affidata alla cosiddetta terza generazione, che ha studiato, parla l'inglese, vanta almeno un master ed è pertanto portata a pensare di saperne più del nonno e del papà.
Non si contano fior di ditte che, passando per questioni dinastiche da padre in figlio e a nipoti, hanno chiuso i battenti per eccesso di presunzione degli ultimi arrivati, spocchiosi e supponenti. È assodato che la fame è il miglior carburante per raggiungere il successo. Il miraggio del benessere, se non della ricchezza, spinge, come si dice, a darci dentro; chi ha la pancia piena - riempita grazie alla famiglia - più che a sgobbare è invece impegnato ad assumere atteggiamenti boriosi, a procurarsi la barca, la casa a Cortina o al Forte. Intanto i bilanci aziendali vanno a ramengo.
Ma lo stesso discorso vale, in piccolo, per coloro che avendo conquistato una laurea breve, e non trovando un impiego corrispondente alle aspettative dei dottorini, preferiscono starsene in casa a grattarsi, a scroccare spiccioli ai genitori, piuttosto che gettarsi in un'esperienza lavorativa che richieda fatica e qualche azzardo.Non immaginavamo che una lezione esemplare potesse venire da un cantante. Complimenti a Sting e signora.
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