Paradossalmente sembra quasi che il governo abbia voglia di fare i bagagli. Sono giorni che, quotidianamente, ministri e sottosegretari evocano il patatrac. Il Guardasigilli Paola Severino ormai è un’habitué. Su di lei sono accesi i riflettori, visto che il Parlamento deve esaminare il ddl anticorruzione. E il ministro, già tre giorni fa, aveva avvertito: «Se non otterremo la fiducia, il governo tornerà a casa - aveva detto da Lussemburgo - ma sono serena anche in questo caso». Come a dire: se i professori verranno bocciati, beh... pazienza. E il suo collega all’Istruzione, Francesco Profumo, ieri è tornato sull’argomento «caduta»: «Non sarebbe un bel segnale se il governo andasse a casa su un tema come quello dell’anticorruzione», ha messo in guardia tutti perché «poi, però, bisognerebbe spiegarlo agli elettori futuri». In ogni caso, «il governo non ha alcun timore».
Nessuna paura di lasciare il Palazzo. Vero? Falso? Di certo l’ipotesi dello scivolone in Aula viene continuamente e curiosamente citata ad ogni pie’ sospinto. Sembra lontano un secolo l’atteggiamento un po’ sarcastico e spavaldo di Monti che, appena insediato a Palazzo Chigi, a Montecitorio spargeva ironia: «Vi prego, non usate più l’espressione “staccare la spina” - disse ai deputati in novembre - non siamo un apparecchio elettrico. E anche se fosse non saprei quale apparecchio essere: se un rasoio o un polmone artificiale». Adesso è tutt’altra musica, tutt’altro mood.
Sembra quasi che l’eventualità di gettare la spugna non sia poi così remota dalle parti di Palazzo Chigi. In fondo lo stesso Professore non pensava fosse così dura la vita del politico: mille veti su ogni provvedimento da parte di chi dovrebbe appoggiarlo, svariate gaffe da parte di alcuni dei suoi uomini, innumerevoli liti e ruggini tra i suoi. «Ma chi me lo fa fare?», deve aver pensato in più occasioni il premier che, di fondo, la pensa esattamente come il suo ministro della Cooperazione, Andrea Riccardi. Il quale, in marzo, s’era lasciato sfuggire che: «La politica fa schifo». All’epoca fu bufera e toccò allo stesso Monti riparare al danno. Ma il percorso del governo resta pieno di stop and go, di buche, di incidenti di percorso che potrebbero farlo deragliare.
Solitamente, a tenere in carreggiata il Professore, ci pensa il capo dello Stato. È Napolitano il più forte sponsor di Monti che lo puntella ogni qual volta questi sembra vacillare. È Re Giorgio a incoraggiarlo ogni qual volta questi sembra vinto dallo sconforto.
Soltanto in un’occasione dal Colle è partito più un ammonimento che non l’encomio. Fu quando, in piena discussione sul mercato del lavoro, il Quirinale ha parlato di «eccessivo ricorso alla decretazione d’urgenza e alla fiducia». Un avvertimento preventivo: sull’articolo 18 si usino le pantofole e non i soliti scarponi da montagna. In genere, tuttavia, il Quirinale resta l’assicurazione sulla vita del governo.
Il quale forse non ne può più. Tra nervosismi interni, critiche dai media nazionali ed internazionali, veti incrociati da parte della «strana» maggioranza, non è detto che nella testa del premier non sia albergata la pazza idea di mollare la spugna. Un segno di debolezza ma anche di forza. Sì, perché il continuo evocare «le valigie», di fatto cementa le terga dei ministri a Palazzo Chigi. Il messaggio recapitato alle recalcitranti segreterie dei partiti è il seguente: «Andiamo avanti come caterpillar, a suon di voti di fiducia. Se vi va bene, bene. Altrimenti, mandateci pure a casa. Noi non piangeremmo affatto».
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