Giulio Terzi seppellisce Monti con un colpo di penna. Giampaolo Di Paola si autosotterra con un pianto pubblico. Dietro quei due gesti battono il cuore cinico di un funzionario fattosi politico e il cuore ferito di un militare promosso ministro. All'ex ministro degli Esteri presentato da Monti come opportunista e mentitore basta un comunicato per riaprire i giochi, accusare il governo di aver assunto collegialmente la decisione di tenere in Italia i marò. Un'accusa che solo 24 ore prima il Presidente del Consiglio ha scaricato su di lui. Un comunicato gelido e sferzante in cui ricorda di aver espresso anche «formalmente» la propria contrarietà al rientro dei due militari. In quel «formalmente» molti leggono la minaccia di sbugiardare il premier esibendo documenti con date e riferimenti inoppugnabili.
Di ben altro tenore la reazione del ministro della Difesa Giampaolo Di Paola che nel ricordare la vicenda dei due marò durante le celebrazioni di Napoli per il novantesimo anniversario dell'Aeronautica piange e si commuove. È l'ultimo scivolone di un ammiraglio integerrimo e stimato fuori d'Italia: prestato alla politica è caduto in tutte le sue peggiori trappole. E quelle lacrime, anche se sincere, diventano automaticamente di coccodrillo dopo aver condiviso la decisione di consegnare all'India i propri marinai. Inutile tentare di spiegare: «Il rispetto e il senso di responsabilità verso le istituzioni devono venire prima delle vostre emozioni una regola questa che ho dovuto applicare su me stesso quando guardando negli occhi il 21 marzo Salvatore Girone e Massimiliano Latorre ho chiesto loro di fare propria la scelta del governo di rimandarli in India». Ma dopo quell'incipit militaresco l'Ammiraglio ridiventa ministro, sprofonda nel baratro della politica spicciola a cui appartengono quelle lacrime. «È stata sottolinea - una scelta di governo collegiale, sofferta e dolorosa, ma in quel momento necessaria». Quel «collegiale» - pronunciato per fare il verso a Monti e sbugiardare il collega Terzi - è la vera caduta di tono del militare in grisaglia. Un ammiraglio sballottato tra un insano senso d'attaccamento ad un esecutivo piccolo piccolo e il senso di colpa nei confronti dei due marò, ultimi giganti ancora in piedi in un'Italia di nani e rovine. Il ministro soldato non sembra notare l'incongruenza. Parla di «scelta di sofferta responsabilità».
Riconosce ai militari che l'ascoltano il diritto di non condividerla. Sfodera le scuse nei confronti dei due soldati consegnati al nemico. «Io qui in questa piazza voglio dire a Massimiliano e Salvatore e tutti voi
mi scuso se non sono stato capace di fare in modo che oggi fossero con noi in questa piazza».
Ma qui il vecchio cuore da soldato schiaccia il cinismo della politica. Quel pianto è anche il sofferto riconoscimento di quanto siano lontani la professione del militare e quella del politico.
L'Ammiraglio Di Paola in cento missioni in divisa non ha mai sbagliato un colpo. Una volta indossata la grisaglia non ne ha azzeccata una. Ha creduto negli indiani ed ha visto spalancarsi la trappola di Kochi.
S'è fidato della diplomazia e ha dovuto attendere paziente mentre colloqui ed inchini mettevano la sordina allo sdegno. Ha seguito chi gli assicurava che si poteva giocar d'azzardo e s'è visto costretto a riconsegnare i propri marinai. Doveva dimettersi quel 21 marzo. Ma non l'ha fatto. E ora non gli resta che piangere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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