Decadenza, il blitz anti voto segreto compatta il Pdl

Da Schifani a Gasparri big in difesa del capo contro le manovre della sinistra

Il dialogo resta teso, le posizioni distanti, i segnali ancora insufficienti. Ma almeno sulla necessità di evitare blitz sul voto segreto al Senato sulla decadenza di Silvio Berlusconi il Pdl si schiera compatto. «Il voto dell'aula per decidere sulla decadenza del senatore Berlusconi sarà un voto segreto» dice Renato Schifani. «Lo prevede espressamente il regolamento e non credo che il presidente Grasso voglia e possa disattenderlo». Rafforza il concetto Maurizio Gasparri: «Questa proposta maoista non passerà mai. Se Grasso convoca la Giunta per discutere di questo ci staremo tre anni. Ci provi pure». E Roberto Formigoni sottolinea che «il voto palese sulle persone è da dittatura, non da democrazia».

Sulla ridefinizione dei poteri interni al partito, però, la resa dei conti interna non si è ancora conclusa. Il tentativo di Angelino Alfano di passare all'incasso e prendersi davvero il Pdl, dopo il successo ottenuto al Senato con l'«operazione fiducia», fatica a decollare. Individuare un punto di incontro rispetto alle richieste di ridimensionamento dei vari dirigenti invisi al gruppo degli «alfaniani» non è facile. L'ultima ipotesi circolata è quella di un direttorio composto da otto dirigenti scelti tra quelli non particolarmente «esposti», guidato dallo stesso Alfano. Direttorio nel quale potrebbero entrare Raffaele Fitto, Mariastella Gelmini e Mara Carfagna.

Naturalmente non è facile individuare il criterio attraverso cui misurare il peso delle due componenti: quella dei «lealisti» e quella degli «alfaniani». In queste ore in molti si chiedono se non sia arrivato il momento di misurarsi sulla base di numeri reali, visto che con la prova muscolare andata in scena al Senato si è deciso di uscire dalla logica carismatica di Forza Italia prima e del Pdl poi. Inoltre non manca chi sostiene che anche Alfano dovrebbe consumare un passo forte e prendere atto che per guidare il partito a tempo pieno deve lasciare l'incarico di ministro dell'Interno, magari mantenendo quello da vicepremier.

Un ruolo decisivo in questo frangente lo hanno i dirigenti che fin dal primo minuto si sono spesi per tentare una ricucitura, in primis Maurizio Gasparri, Paolo Romani e Altero Matteoli. Sono loro i pontieri che insistono nella ricerca di una soluzione, suggerendo ad Alfano di vincere senza stravincere e ai dirigenti «lealisti» di prepararsi a un reale cambio di metodo interno. Inevitabile, però, guardare alla prospettiva di un confronto in campo aperto. «Serve unità. Se necessario chiameremo a raccolta i normali, quelli che non sono né con i falchi né con le colombe. Siamo noi la maggioranza. Siamo il numero notevole di forze tranquille. Ma serve anche un congresso aperto del Pdl, con basse quote di iscrizione sotto la leadership di Berlusconi, per rimettere tutto in discussione», propone Maurizio Gasparri. «Io sono per il centrodestra e non per una restaurazione centrista». E Renato Schifani assicura che «non cadranno teste. Garantisco che tutti i senatori sono dalla parte di Berlusconi».

Sullo sfondo si crea un giallo dai contorni surreali sulle dimissioni di Michaela Biancofiore da sottosegretario.

«Apprendo da alcuni articoli di stampa la notizia che le mie dimissioni lealmente e coerentemente offerte al presidente del Consiglio a seguito della decisione del Pdl e del presidente Berlusconi di ritirare la delegazione ministeriale, sarebbero state le uniche ad essere state firmate dal presidente Letta. Non avendo ricevuto alcuna notizia ufficiale della presidenza del Consiglio, mi riservo di commentare la questione se e quando sarò in grado di avere cortesi conferme o smentite in merito».

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