RomaSul post Porcellum resta lo stallo tra i partiti. Ma la strana maggioranza si sta sforzando per trovare un'intesa che non potrà che essere un «suinellum». Di nodi da sciogliere ne sono rimasti tre anche se uno solo è grande come una casa: il premio di maggioranza. Al partito, come pretende il Pdl; o alla coalizione, come vuole il Pd? Questo il punto di scontro più duro tra A e B. Tuttavia, dietro le quinte, Bersani sta lavorando a una sorta di escamotage per non rimanere troppo scottato, qualora fosse costretto a cedere sul tema. In ogni caso i tempi si stanno dilatando e difficilmente si arriverà a una fumata bianca prima dell'estate. Ieri s'è riunito il comitato ristretto presso la commissione Affari costituzionali del Senato, nel tentativo di produrre un testo il più possibile condiviso. Vale a dire un mix, un compromesso, una miscela che non potrà che avere le fattezze di mostro a più teste. Dal porcellum all'obbrobrium, insomma. Tuttavia la soluzione del rebus è lungi dall'essere trovata.
Nel dettaglio: è sul premio di maggioranza - ossia come ricompensare chi vince le elezioni garantendo la governabilità - che il contrasto è più ampio. Il Pdl guarda con terrore al premio alla coalizione, visto che allo stato attuale l'accordo con la Lega è lontano. E poi, anche se si perfezionasse l'intesa con il Carroccio maroniano, non è affatto certo che la coalizione risulterà ancora vincente. Fondamentale, pertanto, è strappare il premio al partito, sperando che da qui alle elezioni, il Pdl possa recuperare lo svantaggio. Viceversa, per Bersani, le alleanze sono a portata di mano. Con Casini, ma anche con Vendola. Quindi, se il Pd riuscisse a strappare il premio alla coalizione, Bersani si garantirebbe una solida maggioranza; potrebbe pertanto scongiurare la «grande coalizione» e puntare dritto a Palazzo Chigi. È muro contro muro.
Bersani, tuttavia, si sta muovendo per tutelarsi, qualora fosse costretto a cedere sul tema. La sua mossa è la seguente: fare una lista unitaria con Vendola, in modo da garantirsi il premio, quand'anche fosse al partito e non alla coalizione. Ma l'accordo è di là da venire e finché non c'è un «affare fatto» con Sel, il Pd non cederà sulla ricompensa alla coalizione. Che il nodo ormai sia soltanto questo lo ammette tra le righe lo stesso Bersani quando dice: «Noi abbiamo solo un punto irrinunciabile: la sera delle elezioni i cittadini dovranno sapere chi avrà la possibilità di governare. Su tutto il resto siamo pronti a discutere, su questo no».
E ieri, tra i membri del comitato ristretto, discussione è stata. Al termine del summit, è stato il pidiellino Quagliariello a tirare le somme. Risultato: così così. Su un po' di punti s'è raggiunto un accordo di massima. Eccoli: proporzionale; mix tra preferenze, collegi e listino bloccato; premio di maggioranza; sbarramento al 5%. Anche il piddino Enzo Bianco guarda il bicchiere mezzo pieno: «Sono stati fatti passi avanti e ci sono punti di avvicinamento», assicura. Ma restano le divergenze su altri punti fondamentali: se il premio debba essere al partito o alla coalizione; l'entità del premio di governabilità (10 o 15 per cento?) e metodo di elezione (preferenze o collegi?). Una strada potrebbe essere quella di una miscela così composta: 2/3 di candidati indicati dagli elettori o con le preferenze o attraverso i collegi; 1/3 con le liste bloccate). Un pastrocchio congeniato per accontentare tutti o, meglio, per non scontentare nessuno.
Chi urla sono Lega e Italia dei valori. Per Calderoli, «siamo alle comiche! Fanno finta di confrontarsi ma ognuno resta della sua idea». Alla Lega, ovviamente, interessa la norma sullo sbarramento (4% a livello nazionale oppure al 6% in non meno di cinque circoscrizioni). Mentre l'Idv, con Pancho Pardi, denuncia: «L'intesa ABC è fatta apposta per garantire ai partiti più grandi il maggior numero di seggi.
E oltre a Colle e Palazzo Chigi, anche le imprese vanno in pressing sui partiti: «La riforma non è più rinviabile», dicono in una bozza Confindustria, Abi, Ania, Alleanza imprese e Rete imprese.
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