La lezione di democrazia di "Repubblica": il governo è buono solo se vince la sinistra

La presidente di Fininvest e Mondadori torna all'attacco dopo la sentenza sul Lodo. E Barbara: "Se papà è delinquente perché hanno fatto due governi insieme a lui?"

Barbara Spinelli e Marco Travaglio
Barbara Spinelli e Marco Travaglio

«Il fascino della melma» è il titolo. E si capisce subito dove va a parare il manifesto ideologico che ieri Barbara Spinelli ha pubblicato su Repubblica. La melma saremmo noi, a mollo nell'inferno spinelliano in un brodo marcescente di malaffare, corruzione, menzogna. Ma nella desolazione di questa palude, che cosa vediamo ergersi come uno scintillante baluardo? «La magistratura s'erge - dichiara stentorea e involontariamente comica la Spinelli - come torre eremitica». Per la miseria, verrebbe da dire, qui si fa del buon cabaret.
La Spinelli moralista indica il bene e il vero, oltre che nella turris eburnea della magistratura, anche nel salotto buono della borghesia monopolista del sapere e dell'etica, che ha più volte manifestato fastidio per la democrazia. Va bene se vincono loro. Se vincono gli altri, va messa sotto accusa.
Se non ricordo male, la stessa Spinelli nell'aprile 2013 si chiese se davvero la democrazia in cui il popolo-bestia ha lo stesso potere dell'intellighentsia autoreferente, sia un buon sistema di governo: «È tempo di disabituarci a schemi cui politici e giornalisti restano, per pigra convenienza, aggrappati». E io non posso che ricordare la candida dichiarazione di Eugenio Scalfari alle Invasioni barbariche in cui disse che l'elettorato di Berlusconi è fatto di uomini di cui non si deve tener conto (in tedesco si dice Untermensch, dal noto glossario nazista) trattandosi di gentaglia: canaglia, fatta di evasori fiscali, corrotti, corruttori e cialtroni.
Vecchia canzone, arricchita da una variante: l'accusa al Pd di non avere abbastanza fegato da combattere il centrodestra, rifugiandosi (vilmente) sotto l'ala protettiva della magistratura. La Spinelli pudicamente nomina «la politica» e cita il divo Vladimiro Zagrebelsky il quale prevedeva già sulla Stampa di qualche giorno fa che quando «la politica» (cioè il Pd) avrà «trasferito potere e responsabilità ai giudici» poi li aggredirà «per le conseguenze che derivano».
Barbara Spinelli poi non rinuncia al tema razzista dell'infezione come metafora, dopo aver sfruttato quella del fango e della melma: «Quando gli anticorpi diventano insufficienti, compare l'Aids». Metafora assolutamente sbagliata, l'Aids è indotto dal contagio e il suo virus Hiv che provoca l'abbattimento delle difese immunitarie, non il contrario. Cosa volete che importi alla Spinelli della realtà? A lei basta insinuare che gli avversari politici, sotto uomini, sono anche la pandemia dell'Aids.
Naturalmente esprime disprezzo per il Parlamento intero, della cui indipendenza (ogni parlamentare agisce senza vincolo di mandato) sembra molto preoccupata: hai visto mai che la carica dei 101 possa salvare Berlusconi dalla decadenza? Meglio che sia messo al guinzaglio, mentre si cerca una forma di democrazia che non includa chi non è di sinistra.
Barbara sostiene che «da trent'anni» la politica italiana non è in grado di fare pulizia. Un altro falso: sono cinquanta e più. La politica italiana è nata con un difetto genetico che oggi è vigliacco scaricare sul centrodestra. È il compromesso fra il Pci e Dc e non stiamo parlando del compromesso storico immaginato da Berlinguer ma quello con cui si fingeva di non vedere che il Pci corrompeva la politica, come grande e continuo evasore fiscale, iniettando nel sistema milioni di dollari che il Cremlino consegnava nella valigia che poi veniva portata, per il cambio, allo Ior vaticano sotto gli occhi neutrali ma vigili degli agenti del tesoro americano, preoccupato soltanto che non circolassero dollari falsi. Il sistema dei partiti tollerava e si affiancava. Allora non c'era Berlusconi, ci sembra. La corruzione? Ma non ricordi cara Barbara quando eravamo entrambi a Repubblica e io pubblicai la fortunata intervista a Franco Evangelisti, detto «'A Fra che te serve?». Fu la prima confessione sulla corruzione fatta da un ministro della Repubblica poi costretto alle dimissioni. E cosa fece la tua amata magistratura? Niente, perché la sinistra non voleva fastidi sulla strada del governo. Neanche un avviso di reato, non un fascicolo sul ministro reo confesso.
Tredici anni dopo, apriti cielo: mani pulite, tangentopoli, Tonino ammazzatutti, i capelli strappati, i partiti alla gogna. Si scopre la corruzione perché il nuovo piano prevede la ghigliottina per tutti tranne che per il Pci che prepara la sua gioiosa macchina da guerra. Davvero Barbara Spinelli finge di ricordare che il malaffare è nato quando Craxi e poi Berlusconi hanno mandato a gambe per aria i progetti della stessa sinistra?
Spinelli attinge anche ai grandi caduti dell'antimafia, tirando dalla sua Paolo Borsellino di cui va a pescare un intervento del gennaio 1989 - era ancora in piedi il muro di Berlino e al governo c'era Ciriaco De Mita - in cui il povero magistrato protestava perché «le istituzioni» non sapevano distinguere i mafiosi se non dietro certificazione di una sentenza. Una citazione grottesca. Naturalmente non una parola sul fatto che, guarda un po', proprio sotto il governo Berlusconi lo Stato ha sbattuto e mantenuto in galera il più alto numero di mafiosi, dopo anni di arretramento e resa militare di Cosa Nostra. Ma che cosa volete che di tutto ciò importi alla Spinelli, preoccupata (come tutto il salotto buono) dei gravi guasti che porta la democrazia? Per buon peso evoca persino gli sfortunati eroi veri, come Paolo Borsellino (al quale hanno fatto dire, dopo morto, che si stava occupando di Berlusconi il che è totalmente falso) sono soltanto materiale di scena.


E la scena è sempre la stessa: quella di una parte politica che si arroga un preteso primato morale e che adesso pensa di aver finalmente fatto fuori il Berlusconi politico creando e ammanettando il Berlusconi criminale. Un'idea sbagliata, come tutti sanno, visto che il borghese Berlusconi resterà lì a fare il leader non vinto e con ottime probabilità di vincere. Anzi, come si dice ormai, di asfaltare.

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