di Caro direttore,
la «cosa nera», la «cosa blu», la «cosa tricolore». Dopo il voto amministrativo che ha segnato una sconfitta per il centrodestra, alcuni amici di comune provenienza politica provano a far nascere una nuova formazione per ridare vita - come sostengono - alla destra. Non è mia intenzione aprire polemiche fuorvianti perché nell'impegno politico mi sono sempre mosso per unire e mai per dividere e neppure adesso intendo derogare da questa linea di fondo. A parte comprensibili delusioni personali, non sono note quali siano le motivazioni reali, ideali e politiche che spingono questi amici a staccarsi dal Pdl per costruire un rassemblement che in qualche modo rievoca Alleanza nazionale.
Si afferma che non sarà un'operazione nostalgia e che ci sarebbe invece la necessità di dar voce a chi si è schifato della vecchia politica. Nulla si dice riguardo alle concrete politiche da delineare e proporre per fronteggiare con qualche speranza di successo le grandi problematiche economiche, sociali e di prospettiva per i giovani con cui dobbiamo fare i conti. Nulla, ancora, si sa su come questa nuova forza politica si muoverebbe in ambito europeo a meno di un anno dal rinnovo del Parlamento europeo ritenuto da tutti gli osservatori decisivo per il futuro dell'Europa e per il ruolo che essa avrà nella difficile, complicata e complessa competizione con il resto del mondo e in particolare con gli Stati ad economia emergente.
Questi amici sono però certi che Berlusconi non ce la farà più a vincere e che la loro nuova destra sarà alleabile con il Cavaliere. Mi chiedo, a cosa serve determinare una divisione all'interno del centrodestra e quindi nel Pdl se poi la neo destra si alleerà con Berlusconi? Perché privilegiare solo formali, seppur legittimi, aspetti legati all'identità quando invece i valori di fondo, le politiche di base per regolare i rapporti economici e sociali non divergono in maniera netta? Forse mi sfugge qualcos'altro ma non riesco a comprendere la necessità di una destra distinta e distante dal centrodestra oggi rappresentato dal Pdl. Pdl che, intendiamoci, non è perfetto, non ha raggiunto tutte le finalità politiche immaginate alla sua nascita, ma che resta a mio avviso l'unica speranza per salvare il bipolarismo e per consentire all'Italia di poter contare in Europa. A maggio 2014 si voterà per le Europee, ed è a maggior ragione poco costruttivo dividere le forze del centrodestra. Mentre il Pse tenta di organizzarsi con una probabile candidatura Schulz a presiedere la Commissione - e Letta sembra volerlo appoggiare - sarebbe importante che il Ppe riuscisse, anche grazie al contributo del centrodestra italiano, a confermarsi primo partito vincendo la sfida europea. E chissà se un uomo dello spessore dell'ex primo ministro spagnolo, José Maria Aznar, non possa dare un significativo contributo in questa prospettiva decisiva per l'Europa che vogliamo costruire. Un'Europa non più germanocentrica ma politica che cambi rotta nelle scelte economiche, finanziarie e del lavoro imprimendo una svolta solidale tra Stati membri.
Vogliamo che l'Italia conti in Europa o che debba solo subire le scelte di altri? A me pare, molto modestamente, che siano queste le questioni di cui ci dovremmo occupare con impegno e sulle quali occorre unità di intenti ed una visione di largo respiro. In questo contesto storico, dar vita ad una nuova destra, la trovo una mossa perdente e senza prospettiva non solo per l'area politica di riferimento ma per il Paese.
Piuttosto, è davvero indispensabile che si rafforzi il Popolo della libertà, che si trovi una formula organizzativa che consenta di spalancare le porte del partito a nuove forze, alle professioni, al mondo produttivo e del commercio, che sia attrattiva per i giovani, che risvegli la passione per la politica vera, che dia voce e speranza alla nostra gente delusa e sfibrata da una crisi infinita. Non servono altri partiti o partitini che siano per riuscirci, serve unire le forze.
* senatore del Pdl
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