Lotito Claudio è uomo tutto di un pezzo. O forse di un prezzo. Sa fare benissimo l'imprenditore, adesso gli sono venute le voglie di fare anche il politico, nel Paese nostro le due cose vanno assieme e non so se rendo l'idea. Lotito Claudio, come molti sanno, è il presidente della Lazio calcio, società che lui medesimo ha preso per i capelli, i pochi che le aveva lasciato Cragnotti Sergio.
Ha sistemato il bilancio, ha goduto dei benefici di legge con l'Erario, ha qualche fastidiosa pendenza con la legge stessa ma non per motivi di fisco, ha avuto a che fare con i guai di Calciopoli, è sotto schiaffo continuo della ciurma di tifosi laziali che lo vorrebbero al confino, ingrati e irriconoscenti dopo tutto quello che Lotito Claudio ha fatto per la Lazio.
Non piace a nessuno, ma piace moltissimo a se stesso. Frequenta la lingua italiana, un po' arcaica, usa il latino, in modo imprevedibile, si esprime in romanesco, da inconsapevole cabarettista, il ritmo del suo dire è da radiotaxi, senza pause, parla tenendo alto il mento, lo sguardo, dietro le lenti, a volte sembra distratto, decisamente superiore all'astante che cerca di tradurre il lessico, compulsando il Campanini Carbone, dizionario dal latino all'italiano.
Ha concesso un'intervista a Il Tempo dichiarandosi pronto a scendere in campo per il bene del Paese. Già aveva preannunciato, nel duemila e undici, di essere pronto a rispondere alla chiamata del Paese. In verità, qualche anno prima, dialogando con Zincone, aveva negato di essere un uomo disponibile alla politica succitata. Ma, preso dall'euforia, ha anche proclamato: «Dieci come me al governo e si risolvono i problemi». Trovarne altri nove non sembra facile, uno basta e avanza.
Dato per fascista puro, ha smentito la fama, si professa liberale, vicino a tutti e a nessuno. Tempus fugit e Lotito Claudio resta e dice di essere sempre lo stesso, il più bravo a scuola, il più bravo a tenere i conti nel football, il più coraggioso a tenere a distanza gli ultras. Tra un «avulso», un «edotto» e un «sinestesia», Claudio Lotito bada al sodo ma, parlando di politica, si rimette davanti allo specchio del primo banco e dice che la politica «nell'espressione semantica, il qualità di espressione della Polis...» e tenta di illustrare così il proprio programma: «Il superamento degli steccati di carattere sociale, culturale, economico e razziale...», e ancora «...credo che si possano trovare soluzioni che sposino il liberalismo di Smith, con una società civile ideale...». Adamo Smith, dunque, tanto per incominciare proprio dalla fondazione. «Macchèvordì?», direbbe lui medesimo.
La regola delle dieci P «Parole poco pensate portano pene pertanto prima pensare poi parlare» appartiene alla cultura greca, dunque per un latinista sono fuori luogo, anche se al liceo classico lui era il numero uno, con una pagella da record nazionale, e la traduzione dell'Anabasi di Senofonte, per lui era come il cornetto con il cappuccio, a colazione.
Lotito Claudio prosegue per la sua strada, evita il contradditorio, anzi lo disprezza, sente odore di politica, il momento è propizio, il paese è piccolo, la gente mormora, onorevole Lotito, presente! Si ode già una voce, in lontananza. I tifosi daaaLazio non lo voterebbero nemmeno in caso di dittatura ma trattasi di dettaglio. Divide et impera, dicevano gli antichi romani. Lo dice anche il moderno laziale.
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