La maestrina Merkel dà già gli ordini a Matteo l'amerikano

Provate a immaginare se un istituzionale italiana, di fronte alla bimestrale trattativa per la formazione del governo tedesco, avesse esclamato: "Speriamo che questi tedeschi si diano una mossa"

La maestrina Merkel dà già gli ordini a Matteo l'amerikano

Detta in soldoni: il gelido tutore tedesco viene sostituito dal molto amichevole protettore americano. Se andate su Internet potete trovare una quantità di pettegolezzi sulle pretese connessioni fra Matteo Renzi e la Cia, il Dipartimento di Stato, le immancabili «lobby ebraiche» ovviamente connesse con il governo di Gerusalemme, erroneamente detto «di Tel Aviv». Avremo tempo per spulciare e analizzare queste cronache e queste dicerie, ma intanto prendiamo nota dei fatti elementari. Il primo: la Merkel non ha saputo resistere ad interpretare il suo ruolo di maestrina pedante, quando ha espresso il suo auspicio che la crisi in Italia si risolva alla svelta. Come dire: mica abbiamo tempo da perdere con le beghe italiane, le beghe di un Pese incorreggibile che promette, promette e non realizza mai. Provate a immaginare se un'autorità di governo o istituzionale italiana, di fronte alla bimestrale trattativa per la formazione del governo tedesco fra democristiani e socialisti, avesse esclamato: «Be' insomma! Speriamo che questi tedeschi si diano una mossa». Impensabile no? Ma se la Merkel sbuffa chiedendo a Renzi, che già sembra Speedy Gonzales, di fare presto anzi alla svelta, nessuno obietta. È lo stesso meccanismo per cui, qualsiasi puttanata scrivano «Gli Autorevoli» Financial Times, o The Economist, tutti gli opinion leader (in realtà followers) si adeguano, esultano, piangono, insultano. Ma ovviamente non importa nulla nelle lontane cancellerie, delle eventuali opinioni italiane.
Così insomma, per farla breve, la Merkel ha voluto dire che se ne infischia dei travagli italiani, e spera soltanto che la pantomima finisca presto. La Commissione europea si è sbrigata ad avvertire che per gli italiani, visti i ritardi ulteriori nel presentare gli attesi documenti riformisti, non c'è trippa per gatti, e insomma tutto potrà fare - almeno sulla carta - Matteo Renzi, salvo andare a battere gli abusati pugni sul tavolo, perché se lo facesse, la Merkel darebbe ordine di attaccargli le orecchie dell'asino.
Non è chiaro se, al di là delle parole di cortesia diplomatica nei confronti di Letta, l'Europa considerasse il suo governo come una Panda col freno a mano tirato. Di tutt'altro avviso, lo dicevamo all'inizio, il pianeta americano dove il sindaco di Firenze è studiato da tempo come il vero fenomeno nascente, insieme a Grillo, ma anche l'alleato più augurabile in una visione strategica planetaria. Agli Stati Uniti e alla Casa Bianca in particolare poco importa dei rapporti inter-europei di Matteo Renzi, mentre importano moltissimo gli atteggiamenti e i comportamenti politici da cui è possibile dedurre una posizione ideologica. E così accade che, paradossalmente, il sindaco di Firenze goda di maggiori simpatie nel Gop, il Grand old party repubblicano, che è una costellazione di think tank, associazioni, club, correnti liberiste di pensiero, che non nei quadri operativi del partito di Obama, molto più burocratico che ideologico, sempre appiattito sulla spesa pubblica sociale di cui peraltro - vedi l'Obama-care - non riesce a venire a capo.

Che cosa piace di Renzi? Una posizione sulla questione israelo-palestinese ben smarcata dagli ideologismi sinistresi e, senza essere smaccatamente filo israeliana, fortemente aperta alla partnership di Gerusalemme. In America non si dimentica che Renzi - come anche Letta, peraltro - non provenga dalle colture e culture del vecchio Pci, ma dal partito cattolico. Sul web si fa molto fracasso sull'ipotizzato sostegno di Michael Ledeen, dipinto come un diabolico agente della Cia e che invece è uno dei pochi grandi intellettuali dell'Italian Desk di Washington. I contatti fra le teste d'uovo americane e Matteo Renzi sono abbastanza precoci, se è vero che già sette anni fa, nel 2007, l'emergente fiorentino si vide destinatario di uno dei più sofisticati tour che un politico straniero possa avere nella capitale americana. Tutto questo per dire che preventivamente la sinistra radicale già sta preparandosi a fare di Renzi l'Amerikano col kappa, ruolo già impersonato da Cossiga e poi da Berlusconi. Oggi gli Stati Uniti, i suoi think tank intellettuali e strategici stanno pensando a una ricollocazione dei rapporti privilegiati, o comunque meritevoli di sviluppo e interesse. I rapporti fra Letta e Obama erano, come si sa e si è visto, eccellenti sotto ogni profilo politico e umano. Ma ci sembra che Renzi abbia una marcia in più, in quella direzione: è uno che eccita nell'intellettuale Dc (cioè di Washington) il gusto della scommessa e dell'investimento. Se questi segnali diverranno concreti, lo vedremo presto, molto presto.

E saranno il miglior antidoto contro le nervose acidità della Cancelliera, cui - pure - Matteo baciò la mano con una smorfia da clown, provocando le immancabili ire di Beppe Grillo, un altro che a Washington guardano con curiosità.

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