Maroni tagliatore di teste mette a dieta il Carroccio

Dopo la conquista della Lombardia il neogovernatore sogna un partito snello: vuole ridurre il personale e vendere la storica sede di via Bellerio per una più piccola

Il segretario della Lega Roberto Maroni
Il segretario della Lega Roberto Maroni

Roma - Macroregione e microspese: i due assi cartesiani della Lega di Maroni. Dopo la conquista della Lombardia, passo fondamentale per il progetto nordista di «Bobo il bavarese» (modello Csu tedesca), ora tocca al punto due della road map: ridurre le spese. Non che la Lega sia in bolletta, perché in banca ci sono ancora qualche milione di euro (grazie a 170 milioni di rimborsi pubblici arrivati dallo Stato in 20 anni), ma nell'ottica di un partito snello, di una Lega 2.0 come la pensa il segretario, forte al Nord ma indifferente - o quasi - a Roma, le megasedi e gli staff pletorici non servono più. Perciò via Bellerio, storico quartier generale dal '93, è da qualche giorno sotto gli occhi di un head-chopper, un «tagliatore di teste» professionista (pare, ironia del destino, arrivato da Roma) incaricato di individuare il personale in eccesso, e di tagliarlo. Ci sono ben 60 dipendenti in forza in via Bellerio. Una sede enorme, legata alla Lega di Bossi, stagione che si vuole finita per sempre. Un immobile da partito stile Prima Repubblica, qual è in effetti storicamente la Lega. Ma eccessiva rispetto al nuovo corso. Parliamo di 250 stanze, 7.600 metri quadrati, più 2.500 metri quadrati esterni, dove trovano posto un parcheggio, oltre ad un asilo nido per i figli dell'apparato leghista, la radio, il giornale, l'ufficio dove Bossi riposa. Ad acquistare via Bellerio, rilevando una ex fabbrica, per 13 miliardi di lire, fu l'allora tesoriere leghista Maurizio Balocchi, con un mutuo estinto dalla Lega Nord soltanto di recente (si dice che negli anni difficili abbia dato una mano anche Berlusconi). Una piazza d'armi che ha costi proporzionali (riscaldamento, pulizia), e poi fuori Milano, lontano dal Pirellone. Ed ecco il piano di mettere in vendita via Bellerio e cercare una sede più light. Il problema, oltre a trovare l'acquirente, sarebbe la destinazione d'uso con cui è registrata al Comune di Milano: sede di partito (che non paga l'Imu). O si trova un altro partito disposto a subentrare, ipotesi fantascientifica, o si trova il modo di cambiargli la destinazione d'uso (si può?).
Anche i media padani tagliano i costi. Non è più l'epoca dei fasti, quando il direttore della Padania Gianluigi Paragone (poi assunto in Rai in quota Lega) prendeva - si bisbiglia in via Bellerio - 10-11mila euro al mese. Ora il direttore del giornale leghista, la trentenne Aurora Lussana, ha un contratto part time, e con la contemporanea direzione di Telepadania più il sito del giornale si accontenta di uno stipendio da normale quadro aziendale. La redazione, che prima era di 30 redattori, è ridotta a dieci, con contratto di solidarietà e tagli alla distribuzione. I collaboratori sono tre, contro i venti di prima. I rimborsi spese ridotti all'osso, un'altra era geologica rispetto ai precedenti direttori della Padania, Leonardo Boriani (arrestato ieri) compreso.
Una dieta ferrea che sconta due fatti (lasciando perdere i 2,5 milioni di euro pignorati dal ricorso dell'ex avvocato della Lega Matteo Brigandì, fatto fuori dal partito). Primo, le spese non esigue sostenute per la campagna di Maroni in Lombardia. Secondo, col magro bottino elettorale crollano le contribuzioni obbligatorie dei parlamentari, che nella scorsa legislatura erano 82, mentre da venerdì saranno 30. Terzo, e più importante, i finanziamenti pubblici alla Lega, molto inferiori rispetto al passato.

Nelle politiche 2008 la Lega prese l'8,30%, pari a circa 37 milioni di rimborsi elettorali, stavolta ha ottenuto la metà, il 4% (18 deputati, non sufficienti a formare un gruppo alla Camera dove il limite minimo è 20, per questo arriveranno due prestiti), che col dimezzamento del finanziamento pubblico fatto nel 2012 si traducono in circa 9 milioni di euro, da spalmare in cinque anni. Le vacche padane non sono più grasse. Ma poco importa. Come diceva un tale, anche nei momenti di magra, mai mulà, tegn dur.

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