Il bluff dei tagli alla politica

A 20 anni dal referendum che ha abrogato il finanziamento pubblico ai partiti, siamo ancora qui a discutere sulla stessa questione

Il bluff dei tagli alla politica

Il governo ha deciso - a parole - di abolire i rimborsi elettorali, e gli italiani gridano vittoria. Ma quale vittoria? A 20 anni dal referendum che ha abrogato il finanziamento pubblico ai partiti, siamo ancora qui a discutere sulla stessa questione. Anche un tonto capisce che si tratta di una presa in giro. La politica, si dice da sempre, dovrebbe campare col sostegno volontario dei contribuenti. In teoria. In pratica i cittadini la disprezzano e quindi non hanno alcuna voglia di foraggiarla. Quindi? Il problema non ha soluzione.
I partiti, per vivere secondo lo stile che si sono dati da decenni, hanno bisogno di molto denaro. O ne ricevono dallo Stato sotto forma di versamenti generici, come avveniva un tempo, oppure sotto forma di rimborsi. Tertium non datur. O, meglio, si devono arrangiare come possono: col furto. Che però è pericoloso, perché c'è sempre in giro qualche magistrato rompiballe incline a sollevare scandali. Durante la Prima Repubblica era in voga il sistema delle tangenti, grazie al quale girava grana per tutti, a volontà. Ogni appalto pubblico creava l'occasione per rendere l'uomo ladro. E la categoria dei ladri, infatti, si ingrossava a vista d'occhio.

Non poteva durare e non durò. Sappiamo com'è andata a finire. Dal finanziamento statale si passò in fretta ai rimborsi. E il denaro continuò a piovere nelle tasche capaci degli addetti alle segreterie. Dal 1994 al 2008, le entrate per lorsignori sono state complessivamente pari a 2 miliardi e 253 milioni di euro. Mica male. Le spese documentate (si fa per dire) sono ammontate a 579 milioni. Un quarto. Rimane da giustificare una somma di circa un miliardo e mezzo. Dove sono finiti tanti quattrini? Ah, saperlo! Bisogna affidarsi all'immaginazione: probabilmente la voce rimborsi elettorali non è fedele alla realtà. Le spese per la propaganda sono un'inezia rispetto a quelle relative al mantenimento degli apparati di partito, sproporzionati per eccesso di gigantismo in relazione all'attività che svolgono.

Montagne di soldi se ne vanno per stipendiare fancazzisti e consentire a leader e leaderini un'esistenza agiata. La politica è un'idrovora? Facciamo una spugna. Assorbe palanche in quantità perché non è in grado di regolarsi. Chi entra nel Palazzo e ricopre un incarico, per quanto modesto, si sente autorizzato a scialare risorse. Non rinuncia allo status di nababbo. Spreca: lo abbiamo verificato non solo a livello romano, ma anche regionale. Renata Polverini, ingenua signora di borgata, non si era nemmeno accorta, pur essendo governatore del Lazio, che in bilancio figuravano oltre 10 miliardi destinati a soddisfare gli sfizi dei gruppi consiliari. Era costume consolidato distribuire banconote a chiunque ne facesse richiesta: un diritto di casta. Il conquibus dell'amministrazione pubblica è equiparato a quello delle mignotte: vi si attinge e buonanotte. Paga Pantalone.
A forza di tirarla, la corda s'è spezzata. La crisi ha fatto il resto. E Grillo, che micco non è, ci ha montato sopra una campagna: i guai della Repubblica sono da attribuire agli sperperi della politica. Una balla. Ma le balle sono più suggestive della verità e si bevono. Oggi per avere successo alle urne è obbligatorio prendersela con i mangioni. Che fanno schifo, ma non sono la causa del disastro. Se i bilanci degli enti risultano fallimentari, ciò è dovuto alla dilatazione delle uscite, ai capitali sperperati in ogni settore, principalmente quello della sanità.
Nessuno controlla. Nessuno osa tagliare dove si può. L'imperativo di ogni politico non è dedicarsi all'interesse generale, ma a quello del partito: l'obiettivo è conservare il potere, non usarlo per il bene comune. Se limo, perdo voti. Se non limo, forse ne guadagno. Metodo esiziale: i conti non tornano più e si impone un aumento delle tasse per farli quadrare.

Detto questo, torniamo a bomba. Enrico Letta, presidente del Consiglio, minacciato dai grillini, e per accontentare gli elettori assetati di sangue politico, ha messo mano ai rimborsi. Fumo negli occhi dei gonzi. Difatti egli non ha eliminato il finanziamento. Ha solo promesso di cancellarlo nel giro di quattro anni. Un po' per volta, per carità. Intanto, fino al 2017 i milioni non cesseranno di piovere nei portafogli dei soliti noti. Poi si vedrà. Si studierà qualcosa per non far mancare liquidi alle segreterie. Esattamente come accadde quattro lustri orsono quando il referendum pannelliano obliterò la legge sul finanziamento pubblico ai partiti e si escogitò il modo per aggirare l'ostacolo, mutando la causale dei versamenti che seguitarono in quantità ognora crescente.
Nessuna illusione. I denti della politica non saranno smussati né da Letta né dai suoi successori. Il Pd ha annunciato il licenziamento di 180 dipendenti. Saranno collocati in cassa integrazione, notoriamente pagata dagli italiani. Se non è zuppa, è pan bagnato: tocca sempre alla gente sborsare.
Da mesi il mantra è: creare posti di lavoro. Idea fantastica. Come? È compito degli imprenditori assumere operai, impiegati, tecnici e dirigenti. Non dello Stato.

Ma un'azienda soffocata da un fisco crudele e da una burocrazia ottusa che impone lacci e lacciuoli, come fa ad ampliare l'organico se non è all'altezza della concorrenza straniera nel piazzare prodotti a prezzi competitivi? Le ditte non chiudono i battenti per capriccio né delocalizzano per far rabbia alle maestranze, ma perché invece di profitti accumulano debiti. Chiunque comprende: è inutile che il governo pretenda dagli industriali, piccoli o grandi, sforzi insostenibili per incrementare l'occupazione. Non ci riusciranno mai. A meno che lo Stato non recida le unghie al fisco (riducendo ai minimi termini il cosiddetto cuneo) e non ridimensioni il pachiderma burocratico. Ecco il nodo da sciogliere.

Se la politica si impegnasse in questa direzione, infischiandosene dei vincoli europei di sperimentata inefficacia, potrebbe tranquillamente rubare come sempre ha fatto. Gli italiani sono pronti a tollerare i furti, se accompagnati da iniziative vantaggiose per il Paese. Non hanno paura dei ladri, ma degli stupidi.

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