Votare quando? A febbraio? No, non se parla neanche, sostiene Giorgio Napolitano, «non ci sono le condizioni» per sciogliere le Camere prima del tempo. E poi perché, per ritrovarsi un Grillo al 25 per cento e magari pure un Ingroia candidato premier? No, non scherziamo nemmeno, è una cosa «senza senso» che rischia solo dar spazio all'antipolitica. Piuttosto, avverte il capo dello Stato, i partiti si diano una mossa perché da qui ad aprile c'è molto da fare: la legge di stabilità, i tagli alla spesa pubblica, gli impegni con l'Europa. Ma soprattutto, e questo è il punto-chiave del messaggio quirinalizio, serve una nuova legge elettorale che dia «stabilità e governabilità» all'ancora sbalestrato Belpaese.
Con un comunicato informale e molto asciutto, quattro righe appena, il Colle soffoca sul nascere il progetto dell'election-day. A lanciare l'idea era stato Pier Ferdinando Casini: per risparmiare qualche centinaio di milioni, aveva detto il leader dell'Udc, si potrebbero accorpare le prossime Politiche alle Regionali del Lazio e della Lombardia. Angelino Alfano e Roberto Maroni si erano subito detti d'accordo, Pier Luigi Bersani invece si era mostrato assai più tiepido: «Non possiamo fare noi i vigili, per fortuna Napolitano sa benissimo dirigere il traffico».
E così, per la prima volta da parecchio tempo, il capo dello Stato si trova a dare ragione al segretario del suo ex partito: l'accorpamento non si può e non si deve fare. Il Quirinale infatti «non coglie il senso» della necessità di sciogliere il Parlamento e critica l'assurdità di «certe indiscrezioni di stampa» e anche di alcune prese di posizione politiche. Parlare di elezioni anticipate è un «parlare a vuoto» visto che «non se ne sono presentate le condizioni e non emergono motivazioni plausibili». Fine delle trasmissioni.
Il no di Napolitano all'election-day è quindi molto netto e contiene una doppia indicazione. La prima è di natura istituzionale. Giù da diversi mesi e in differenti sedi il capo dello Stato ha disegnato il percorso da qui alla primavera, considerando la scadenza simultanea della legislatura e del suo settennato. Agenda alla mano, il presidente intende sciogliere le Camere a febbraio per mandare il Paese alle urne il 7 o il 14 aprile: per legge, tra la campanella del tutti a casa e l'apertura dei seggi devono passare tra 45 e 70 giorni.
Dopo lo spoglio, servono almeno venti giorni per formare i gruppi parlamentari e nominare i presidenti di Montecitorio e Palazzo Madama. Saremmo già a maggio e, come primo atto, il Parlamento dovrebbe scegliere il nuovo capo dello Stato. Toccherebbe quindi al successore di Napolitano aprire le consultazioni e dare l'incarico per formare il governo. Questo, secondo il Colle, sarebbe l'unico modo per evitare il cosiddetto «ingorgo istituzionale».
Altrimenti, per votare a Carnevale, quando gli italiani che possono se ne vanno in settimana bianca, bisognerebbe sciogliere le Camere a dicembre. Il nuovo Parlamento si insedierebbe a marzo e quindi spetterebbe all'attuale inquilino del Colle avviare la macchina. Ma solo avviare, perché nel frattempo il suo mandato arriverebbe a scadenza e le consultazioni coinciderebbero con le elezioni del capo dello Stato. Il primo ministro riceverebbe l'incarico da un presidente e giurerebbe nelle mani di un altro.
Problemi di protocollo, tutto sommato risolvibili. Ma dietro lo stop di Napolitano alle elezioni anticipate c'è anche un'indicazione politica. Secondo lui questi mesi devono essere sfruttati per sistemare il Paese. Dai partiti, come ha detto giorni fa durante una cerimonia per i 150 anni della Corte dei Conti, si aspetta «un'assunzione di responsabilità» e non i soliti «traccheggiamenti tattici»: è in gioco la credibilità del sistema, lo dimostra la valanga di astensioni, e tutti rischiano di essere travolti dalla valanga antipolitica.
Da oggi ad aprile «c'è materia assai rilevante per governo e Parlamento».
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