Roma - Mamma, lo spread. Presidente, che succederà domani, i mercati ci puniranno? «Vedremo cosa faranno. Aspettiamo e vedremo». Monti vuole lasciare, la legislatura si accorcia ancora... «Facciamo quello che dobbiamo fare fino all'ultimo giorno». E il Quirinale, come affronterà la nuova situazione? «Scusatemi, non posso davvero dire altro. Parlerò tra otto giorni, in occasione della cerimonia di saluti con le alte cariche della Repubblica. Lì farò le mie valutazioni».
Rabbia no, sarebbe eccessivo. Ma un certo distacco, un filo di presidenziale disappunto per lo spariglio del Prof, quello c'è tutto e traspare nelle poche frasi concesse da Giorgio Napolitano nel Salone delle Feste, dopo il concerto di Natale. Sono forti infatti i timori per le ripercussioni sui conti pubblici: l'Italia non è ancora in salvo e l'accelerazione della crisi provocata dal premier mette a rischio diverse riforme che il Colle considera necessarie. Ma c'è un'altra cosa che al capo dello Stato va proprio di traverso, l'ipotesi che SuperMario si candidi.
Napolitano l'aveva già bloccato la sera del 22 novembre, parlando a Parigi subito dopo aver incontrato Hollande. «Una lista Monti? «Non la vedo, non mi pare che compaia, non ne capisco il senso, non so che peso avrebbe questo ipotetico gruppo in Parlamento». E poi, lui «è già senatore a vita», non ha alcun bisogno di contarsi. Anzi, questo era il ragionamento del presidente, se vuole avere un futuro, a Palazzo Chigi o al Quirinale, non può rinunciare alla terzietà. Da allora sono passate un paio di settimane e non si vede perché Napolitano debba aver cambiato idea: anche quando non sarà più in sella, per essere annoverato tra le «riserve della Repubblica» deve restare neutrale.
E c'è un altro piccolo segno di scollamento, le differenti «vie di uscita» dalla legislatura pensate dai due presidenti. Napolitano aveva organizzato una dolce morte, un percorso morbido, il meno traumatico possibile per il Paese: lo scatto in avanti di Monti, se non l'ha sorpreso, di certo gli ha scompaginato i piani. Nelle prossime ore il Professore incontrerà Alfano, che ha promesso «responsabilità». Se il Pdl gliela confermerà ufficialmente, il premier aspetterà che il Parlamento vari la legge di stabilità ed eviti l'esercizio provvisorio prima di risalire sul Colle per rimettere definitivamente il suo mandato. In questa prospettiva, Napolitano potrebbe sciogliere le Camere sotto Natale e far votare a febbraio. Gianfranco Fini buttà lì una data, «il 10, ma la decisione spetta al presidente».
Appunto. E non è detto che da qui all'anno nuovo non ci siamo sorprese. Un mese in politica equivale a un'era giurassica, tanto più quando si parla della ex-Finanziaria, provvedimento totem, spesso vittima dell'assalto alla diligenza da parte di chi poi, poche settimane dopo, deve cercare di farsi rieleggere. Anche stavolta la situazione non appare distesa. La legge di stabilità, già gravata da 1500 emendamenti, dovrebbe assorbire il Milleproroghe e pure alcune delle riforme rimaste a metà, come il decreto sull'Ilva, il decreto sviluppo e la legge attuativa del pareggio di bilancio.
La riforma elettorale, la delega fiscale e il taglio delle province sono ormai dati per persi. Il resto del carnet invece viene considerato dal Colle come il minimo sindacale per mettere un po' al riparo l'Italia. Ma far approvare i testi spinti dal Quirinale significa allungare il brodo.
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