Napolitano resta sul trono e impone le larghe intese

Il presidente accoglie l'appello bipartisan, ma detta ai partiti le sue condizioni: governo Pd-Pdl-Lega-Scelta civica guidato da Amato, Enrico Letta o Cancellieri

Napolitano resta sul trono e impone le larghe intese

Dov'eravamo rimasti? Sì, a King George, quell'ex comunista british dai tratti aristocratici che tanto somiglia a Umberto II di Savoia. Ma la monarchia non c'è più, ora comanda Giorgio II, imperatore della Repubblica italiana, rimesso sul trono dai partiti che in mattinata sono andati a pregarlo di restare, riconfermato da settecento e passa voti, incoronato dai due terzi delle Camere riunite.

Seven more years, dicono gli americani. Magari non saranno sette e forse nemmeno due, dipende da lui, dalla situazione generale del Paese, dalla voglia di copiare Ratzinger. «Domani chiarirò i termini del mandato», annuncia. Di certo, a fronte di un Parlamento debole, incapace di trovare un accordo e di proporre un ricambio all'altezza, avremo un Quirinale forte, fortissimo. Se ne sono accorti i leader che stamattina sono andati a Canossa sul Colle. «Giorgio resta, altrimenti viene giù tutto», lo ha implorato Bersani. Napolitano, prima di accettare «per senso di responsabilità», ha dettato le sue condizioni, la nascita presto, subito, di un governo politico di larghe intese, appoggiato da Pd, Pdl, Lega e Scelta civica. «Stavolta mi dovete dar retta, pretendo un impegno preciso che poi dovete onorare. Con Monti non vi siete voluti legare le mani, ma ora nella squadra voglio personaggi di primo piano».
Lo schema è pronto e ricalca quello dei dieci saggi: individuare i problemi e costruire un programma sulle «cose che uniscono». In questo Paese, si è lamentato l'imperatore, «quando si fa un governo si parla subito di inciucio: forse bisogna cambiare il vocabolario». Sarà un'agenda dettagliata: riforma elettorale, taglio dei parlamentari, leggi anti-Casta, controllo dei conti pubblici, rimodulazione dell'Imu, provvedimenti per le imprese, lo sviluppo e le famiglie. Resta da capire chi andrà a Palazzo Chigi. Il capo dello Stato spinge per Giuliano Amato, che avrebbe voluto al suo posto al Quirinale: ha il profilo adatto, i contatti, l'esperienza, il placet di Pd e Pdl. Ma il Dottor Sottile non piace alla Lega e nemmeno tanto a Monti. Saranno veti insuperabili? Nel caso potrebbe toccare a Anna Maria Cancellieri. Altro nome caldo, Enrico Letta, vicesegretario del Pd, anima dialogante e moderata del Nazareno. C'è chi invece lo vede bene come vicepremier politico insieme ad Angelino Alfano, o addirittura a suo zio Gianni, nel caso in cui il presidente del Consiglio fosse un tecnico come la Cancellieri. I civici schiererebbero Olivero o Mauro, la Lega Giorgetti. La compagine potrebbe essere mista, un cocktail di politici ed esperti tra cui alcuni dei dieci saggi. Delicata la casella dell'Economia: dovrebbe essere affidata a Fabrizio Saccomanni, direttore generale della Banca d'Italia. E per Monti sarebbe pronta la Farnesina. Anche D'Alema è in pista.

Ma soprattutto, spiega il capo dello Stato, bisogna fare in fretta. «Sono grato al Parlamento per la fiducia, è una prova difficile in un momento grave». Napolitano ha intenzione di partire in quarta, tagliando il più possibile i tempi burocratici della successione a se stesso. Già domani alle 17 andrà in Parlamento per il giuramento e vedremo se dovrà dimettersi per riaccettare. E vedremo se, dopo i 21 colpi di cannone tornerà sul Colle con i soliti mezzi o, come prevede il cerimoniale, sulla Flamina 335 decappottabile, scortato dai corazzieri a cavallo in alta uniforme e con il pennacchio. Comunque sia non avrà bisogno di cambi della guardia e di altre cerimonie. E il gruppo di consiglieri è già pronto, al massimo ne cambierà un paio.
Martedì, al massimo mercoledì, partiranno consultazioni-lampo: Napolitano punta a dare l'incarico entro il 25 aprile. Tanti i ponti tra la festa della Liberazione il Primo maggio, poco il tempo a disposizione del Belpaese in crisi.

Andare oltre quelle date significa chiudere la finestra elettorale estiva, che il presidente, come arma di pressione soprattutto verso il Pd, vorrebbe invece lasciare aperta: se non «onorate i patti», se non date il via libera al governo di larghe intese, stavolta le Camere le sciolgo davvero. «Sono stato responsabile, ora confido in un'analoga assunzione di responsabilità collettiva».

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