Napolitano rilancia: indulto indispensabile

Roma«Presto», subito, un'amnistia o un indulto. E subito dopo, una riforma dell'articolo 79 della Costituzione, quello che «oppone rilevanti ostacoli ai provvedimenti di clemenza».
Sessantasettemila detenuti, quando per legge i posti a disposizione dietro le sbarre sono solo 45 mila. Una media città italiana che vive in gabbia e in «condizioni incivili», tra droga, suicidi, violenze varie. Uno spettacolo «indegno, una realtà, dice Giorgio Napolitano, «che ferisce la credibilità internazionale dell'Italia». Una situazione non più sostenibile: «Il Parlamento si muova in fretta», introducendo «pene alternative alla prigione».
Il Quirinale riaccende dunque i fari sul pianeta giustizia, partendo dal caso Sallusti e dal sovraffollamento carcerario. La coincidenza non sembra solo temporale. In mattinata il capo dello Stato incontra il ministro Paola Severino e, insieme a lei, stende un comunicato invitando a trovare una soluzione legislativa per rivedere le pene per reati di diffamazione a mezzo stampa. Poco dopo Napolitano riceve una delegazioni di giuristi e studiosi di varia estrazione, guidata dal professor Andrea Pugiotto, che gli consegna una lettera aperta sull'efficienza della giustizia e la situazione esplosiva delle patrie galere.
Napolitano fa subito suo l'appello e lo trasforma in un secco richiamo alle Camere. «Condivido la dura analisi critica e l'espressione di una forte tensione istituzionale e morale per una condizione che non fa onore al nostro Paese e danneggia il rapporto con l'Unione Europea».
Agli accademici in visita il presidente assicura che farà quanto in suo potere per cambiare le cose. «Ho ribadito - si legge in una nota - l'allarme che nel luglio scorso rivolsi al Parlamento in occasione di un importante convegno svoltosi al Senato e a cui è seguito un intenso sforzo del governo in rapporto con le forze politiche che lo sostengono». Ma l'impegno non deve essere bastato, visto che le «esigenze di riduzione della popolazione carceraria» sono ancora in piedi. E poi, bisogna «creare condizioni più civili per quanti scontano delle sanzioni detentive senza potersi riconoscere nella funzione rieducativa che la Costituzione assegna all'espiazione delle condanne penali».
Insomma, se la galera non redime, se Beccaria non abita più qui, occorre prenderne atto e affrontare il problema alla radice. «Ho rinnovato l'auspicio - scrive ancora Napolitano - che le proposte volte a incidere soprattutto sulle cause strutturali della degenerazione delle carceri in Italia trovino sollecita approvazione in Parlamento».
Si può cominciare da un provvedimento «già in stato avanzato di esame» e cioè «dall'introduzione di misure alternative alla prigione». Poi, per cercare di ridurre la pressione e rientrare nei parametri europei, suggerisce il capo dello Stato, le Camere potrebbero vedere «se è possibile uno speciale ricorso a misure di clemenza». Ma il cuore della questione, secondo il presidente, sta nella Costituzione. «L'amnistia e l'indulto - così recita l'articolo 79 della Carta - sono concessi con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale. La legge che li concede stabilisce il termine per la loro applicazione. In ogni caso non possono applicarsi ai reati commessi successivamente alla presentazione del disegno di legge». Una formulazione che pone «ostacoli rilevanti». Il quorum è troppo alto, quindi va rivisto.
E la Severino condivide «le parole medidate» del capo dello Stato. «Apprezzo molto il suo invito a varare misure alternative come soluzione strutturale al problema del sovraffollamento e della rieducazione del condannato.

Io stesso più volte ho sollecitato un'accelerazione dell'iter parlamentare». D'accordo anche Andrea Riccardi, ministro per l'Integrazione: «Credo che forze politiche ascolteranno il presidente». Applaude pure il Sappe, il sindacato delle guardie carcerarie: «Il sistema è al collasso».

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