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Nazionalizzare la rete Telecom Così diventerà un hub globale

L'infrastruttura è il vero fattore di principale competitività del Paese: va scorporata. Operatori e mercato ne avrebbero vantaggi: più tecnologia e più capitali

Nazionalizzare la rete Telecom Così diventerà un hub globale

Si è riaperto il dibattito sul capitalismo italiano e la tutela delle nostre imprese strategiche. A renderlo attuale la vicenda Telecom Italia. In discussione è, soprattutto, il modo in cui le istituzioni pubbliche - in primo luogo i governi - (non) hanno affrontato la questione. Già da tempo è noto come la progressiva integrazione dei mercati europei obblighi l'Italia a darsi una strategia per tutelare e promuovere gli interessi industriali ed economici nazionali. Lo sostenemmo assieme al professor Antonio Preto su Sole24Ore il 14 dicembre 2005. Chiedemmo all'allora ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, di promuovere un confronto pubblico nazionale e di concluderlo con un dibattito parlamentare preceduto da comunicazioni del governo e seguito da un atto di indirizzo. Ma l'appello è caduto nel vuoto.

Modelli di capitalismo

Eravamo nella fase di recepimento della direttiva 2004/25 sulle Offerte pubbliche di acquisto: sarebbe stato il momento giusto per delineare il modello che l'Italia avrebbe dovuto seguire nel contesto europeo, dove ciascun Paese ha un suo diverso modello di capitalismo:

a)il modello francese, colbertista e cartesiano dove si identificano gli interessi nazionali, i campioni e i settori da difendere e si applicano le deroghe consentite dal diritto dell'Unione;

b)il modello olandese, conquistatore all'esterno, ma blindatissimo all'interno con un sistema di fondazioni che controlla le grandi imprese;

c)il modello scandinavo, più subdolo, che protegge i suoi gruppi con voti multipli e capitalismo familiare blindato;

d)il modello spagnolo, paese aperto ma che, nel contempo, promuove la creazione di campioni nazionali efficienti in settori chiave dell'economia;

e) il modello tedesco della Mitbestimmung tra capitale e lavoro a forte chiusura agli investimenti.

Il modello spagnolo

Ritengo che il modello da seguire sia quello spagnolo, che, però, richiede un forte coordinamento del Sistema Paese, in particolare della politica e della finanza. Ciò significa:
No ai campioni nazionali ad ogni costo e alle golden share. No ai patti di sindacato, alle scatole cinesi, alle poison pill, alle piramidi societarie. Sì alla difesa di interessi nazionali ma con moderazione, in modo trasparente e pubblico, dopo un'analisi caso per caso realizzata attraverso l'incontro virtuoso delle risorse finanziarie ed imprenditoriali necessarie. Sì alla reciprocità in una prospettiva europea. Le società debbono essere contendibili ma anche potersi difendere da scalate ostili di società che contendibili non sono. In buona sostanza no al protezionismo, sì ad un mercato aperto e trasparente.

La storia di Telecom è tempestata di errori e opportunità mancate. Alcune di queste come l'Opa a debito dei «capitani coraggiosi» con i soldi delle banche (sostenuti dal governo D'Alema) e la spoliazione della società realizzata da Tronchetti Provera sono note. Altre lo sono meno ed è giusto evidenziarle perché legate anche al management attuale. Il quale se è vero che ha dovuto far fronte a un indebitamento che pesava come un macigno, aveva comunque in dote un Ebitda (reddito al lordo di interessi, tasse, ammortamenti e accantonamenti) e un cash flow (flussi di cassa) dei migliori al mondo tra le società del settore.

Gli errori

Mancanza di una vera strategia industriale che si è tradotta in un'emorragia continua di clienti su fisso e mobile; perdita di quote di mercato e assenza di servizi innovativi. Nessun ammodernamento della rete in rame con conseguente qualità della rete sempre più bassa. Smantellamento del Cselt di Torino (oggi Ti.Lab), centro di ricerca e sviluppo. Chiusura della scuola Reiss-Romoil dell'Aquila, centro di formazione e di eccellenza, dove venivano formati i quadri e i dirigenti.

Scelta di manager rispondenti a una logica di fedeltà al capo azienda. Scarsa considerazione del mercato. Rapporti istituzionali conflittuali.

Le opportunità mancate

In questo contesto Telecom ha perso grandi opportunità di espandersi sui mercati internazionali. Brasile e Argentina sono gli unici esempi di ciò che avrebbe potuto costituire una vera e propria strategia di espansione. Invece, anche le partecipazioni acquisite disordinatamente da Colaninno furono svendute da Tronchetti Provera per fare cassa.

Come intervenire?

Niente leggi o decreti ad hoc. La legge Opa non va modificata ad aziendam. O contra aziendam. Niente furbate in corso d'opera. Telecom come le altre società debbono restare contendibili. Serve grande apertura a livello europeo e globale. Il mercato nazionale in questo settore non può vivere di prospettiva nazionale se non per la rete. Il nuovo management di Telecom deve cercare una fusione con qualcuno dei maggiori operatori mondiali come AT&T o Vodafone.

Ponendo le giuste condizioni, potremmo fare del nostro Paese un vero hub globale delle comunicazioni, anche in vista del consolidamento del mercato europeo, ormai inevitabile. Senza bisogno di cedere le società sudamericane. Da una situazione di crisi potrebbe nascere una grande opportunità. L'operazione dovrebbe realizzarsi attraverso un Offerta pubblica di scambio. In questo modo tutti gli azionisti si troverebbero in mano titoli solidi, destinati ad aumentare di valore.

La rete

È un bene privato, ma di preminente interesse nazionale. È un bene di rilevanza pubblica con vocazione a divenire pubblico anche dal punto di vista proprietario. La rete è oggi anche il fattore principale di competitività di un Paese. Per questo il suo controllo deve rimanere in Italia. E lo scorporo diventa un mezzo per consentire l'accesso di nuovi capitali, quelli che oggi Telecom non ha. A questo punto, l'opzione più logica è che Telecom scorpori la rete e la conferisca a una newco aperta all'adesione di soci pubblici e privati. La Cassa depositi e prestiti dovrebbe essere l'azionista di controllo in funzione di stabilizzazione e garanzia. Sarebbe anche un socio in grado di apportare capitali freschi, che avrebbero un ritorno certo a medio e lungo termine. La rete è molto redditizia.

Qualora Telecom non procedesse allo scorporo, la rete dovrebbe essere nazionalizzata, con una legge e un equo compenso da pagare agli azionisti. Ciò sarebbe pienamente conforme al diritto europeo, che resta indifferente - come dice il Trattato Ue - rispetto alla proprietà pubblica o privata dei beni. La rete è un monopolio naturale e lo scorporo proprietario darebbe grandi vantaggi concorrenziali: tutti gli operatori potrebbero accedere a condizioni analoghe agli stessi servizi, con parità d'accesso. La concorrenza ci sarebbe tutta ma nei servizi. Ciò si tradurrebbe in meno regolazione ex ante di prezzi all'ingrosso e altre condizioni di accesso e gli italiani ne trarrebbero grandi vantaggi. L'Agcom interverrebbe solo per verificare il corretto funzionamento della rete, il rispetto della parità e della concorrenza.

Ora non resta che agire. Gli errori sono stati molti. C'è però ancora lo spazio per recuperare un ruolo importante per Telecom e per il mercato italiano nel risiko mondiale del settore.

Con più tecnologia, più management e più capitali.

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