Ncd vede nero e corre ai ripari Segnali di fumo a Forza Italia

Lo sbarramento del 4% alle Europee fa tremare il partito. Prove di alleanza con Udc e Popolari. Ma c'è chi come Cicchitto apre agli azzurri: "C'è modo di recuperare"

Ncd vede nero e corre ai ripari Segnali di fumo a Forza Italia

G li alfaniani fan due conti e tremano. Tutti i principali sondaggisti li inchiodano al 3 virgola qualcosa per cento. I più ottimisti azzardano un pelo poco più del 4: poco, troppo poco. Certo, da qui a maggio tutto può accadere ma il dato sembra restare sullo striminzito. Ecco perché i diversamente berlusconiani si stanno dando da fare con le alleanze. C'è da fare in fretta visto che le Europee sono alle porte e quel 4 per cento di sbarramento, ad oggi, rischia di essere un'asticella non così agevole da scavallare. Il timone della barca è nelle mani di Alfano che - ammettono ambienti centristi - sta cercando una liaison proprio con l'Udc. Sua controparte è il segretario dell'Udc Lorenzo Cesa che, più di Casini, sta valutando con Angelino come e quando siglare il patto. La trattativa è a buon punto e si sta pure pensando di mettere insieme i Popolari di Mario Mauro, piccoli centristi nati dalla costola di Scelta civica. L'unione fa la forza. Come sempre la sabbia nell'ingranaggio riguarda due aspetti: le liste e il simbolo. Ognuno spinge a piazzare i propri uomini in posizioni pseudo sicure mentre per il logo pare che Alfano si sia impuntato: vuole il suo nome visibile e riconoscibile. Niente fusioni, niente simbolo comune.
Un'alleanza alfaniani-centristi per Strasburgo preludio di un patto pure per le Politiche? Domanda da un milione di dollari perché nell'Ndc non c'è un idem sentire. Il nodo ruota attorno a un quesito cardine: quello con l'Udc dev'essere un matrimonio che di fatto vincola anche per le politiche o soltanto un fidanzamento d'interesse che potrebbe essere rotto in futuro? Le opinioni, tra i diversamente berlusconiani, divergono tra chi in prospettiva vede e forse si augura di tornare con i «fratelli-coltelli» di Forza Italia; e chi invece ritiene chiusa l'esperienza con Arcore e dintorni. Progetti differenti che poggiano su valutazioni diverse su cosa sia e soprattutto cosa sarà Forza Italia. Chi spinge di più affinché si scriva la parola «fine» ai rapporti con gli azzurri sono Gaetano Quagliariello e Renato Schifani. Il primo l'ha detto chiaro e tondo in un'intervista alla Stampa: «Forza Italia non si riprenderà allo choc di Berlusconi incandidabile», ha sentenziato. Poi, sprezzante: «Gli unici rimasti ad esprimere una visione innovativa, riformista e condivisibile sono la Pascale, la Rossi, Toti». Come a dire: dove vogliono andare con quella gente lì? Il timore di Quagliariello è che, posto che i sopracitati non saranno il faro per i moderati, c'è il rischio molto elevato che questi corrano nelle braccia di Renzi. Ergo: «Dobbiamo lanciare subito un'Opa sugli elettori moderati». Non con Forza Italia ma contro.
Non la pensano così, invece, tutti quelli che hanno affondato le radici nel berlusconismo per decenni e che di quella linfa si sono imbevuti. Da Maurizio Lupi a Beatrice Lorenzin, passando per Nunzia De Girolamo, per esempio. E neppure uno come Fabrizio Cicchitto, seppur ruvido contro gli azzurri, è sulla stessa linea schifanian-quagliarielliana. Proprio Cicchitto, sul Foglio, condivide che Renzi pesca consensi nel mare magnum dei moderati; ma la sua soluzione è opposta a quella di Quagliariello. «Forse c'è modo di recuperare» è la sintesi del suo lungo intervento. Vale a dire: si può tornare insieme a patto che Forza Italia abbandoni per sempre «l'estremismo, malattia senile del berlusconismo».
Segnali di fumo di un riavvicinamento futuro? Di fatto una prima convergenza su un tema specifico è nata ieri sulla norma che riforma l'articolo 416 ter del Codice penale, quella sul voto di scambio. Sempre Cicchitto ha twittato: «Se non viene cambiato voteremo contro». Posizione analoga a quella di Forza Italia che giudica parte del ddl addirittura incostituzionale.

Dopo il Veneto, anche la Lombardia. Ad annunciare che sarà promosso un referendum indipendentista, o meglio un referendum per rendere la Lombardia regione a Statuto speciale, è stato il segretario della Lega Nord Matteo Salvini. Intervistato ieri mattina ad «Agorà», su Raitre, il leader del Carroccio ha preso spunto dalla consultazione che la settimana scorsa ha visto due milioni di veneti dire sì all'indipendenza per rilanciare con l'iniziativa in Lombardia, che coinvolgerà tutto il centrodestra: «In Veneto – ha detto Salvini –c'è un referendum ufficiale, non la tastiera o il gazebo, depositato nelle mani di Luca Zaia, che va avanti. In Lombardia, come intero centrodestra, proporremo un'iniziativa per la Lombardia Regione a statuto speciale. In Lombardia – ha aggiunto il segretario del Carroccio – faremo il referendum indipendentista, ne abbiamo discusso. Sarà un referendum ufficiale». Salvini ha anche replicato a chi boccia questa ventata di indipendentismo, ritenendola anacronistica.

«Barcellona, la città più giovane e cosmopolita del mondo –ha ricordato il segretario federale della Lega Nord – voterà a novembre per l'indipendenza dalla Spagna. Non è un salto indietro, è un salto in avanti».


di Francesco Cramer

Roma

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