Nel Pdl scatta l'ora del piano B: la fine di Letta non è più un tabù

Vertice notturno tra Berlusconi e il premier, con Alfano e Gianni Letta. Il destino delle larghe intese appeso alle decisioni su tasse e lavoro: adesso basta annunci

Nel Pdl scatta l'ora del piano B: la fine di Letta non è più un tabù

Scatta il piano B: il governo potrebbe avere i giorni contati. Per qualcuno si tratta solo di vedere su cosa e quando potrebbe cadere: Imu, Iva, detassazione sul lavoro, Europa o perfino sugli F35. Su quest'ultimo nodo, peraltro, il Pd è spaccato e non ha ancora deciso se dire di sì o meno al programma di acquisto dei cacciabombardieri. E se Letta precipitasse proprio sui caccia?
Il giorno dopo la sentenza monstre di Milano, Berlusconi torna a Roma, accompagnato da Gianni Letta e Angelino Alfano, per un faccia a faccia in serata con il premier Letta. Le vicende dell'esecutivo e quelle giudiziarie del leader del Pdl, come prevedibile, sono parallele che s'intersecano. L'affronto dei magistrati lombardi non fa che aumentare la scontentezza del Cavaliere nei confronti di un governo che cincischia su tutti temi economici e le pressioni dell'esercito pidiellino: «Che cosa ci stiamo a fare nella maggioranza se palazzo Chigi non fa e i giudici ti ammazzano tranquillamente?», sono le parole che rimbombano nelle orecchie dell'ex premier. Il quale, ieri, ha riunito i big del partito per decidere cosa fare. Presenti: Verdini, Alfano, i capigruppo Brunetta e Schifani, Santanchè, Gianni Letta. Un incontro a tratti teso dove sono emersi due ragionamenti. Il primo: staccare la spina subito, il prima possibile. Forse già nelle prossime settimane. Il secondo: e se Napolitano non scioglie le Camere? Diranno che con questa legge elettorale, il Porcellum, non si può votare di certo; diranno che è da irresponsabili far cadere un governo delle larghe intese; ci metteranno un nanosecondo a fare un altro esecutivo, Pd-M5S, ancor più ostile al Pdl. In ogni caso il Cavaliere sembra con le spalle al muro, ma non molla e non ha intenzione di cedere di un millimetro sulle sue battaglie. Vorrebbe mettere in agenda una riforma della giustizia, ma sa che su questo punto sarà sforzo vano. Anche per questo i più, nel partito, gli chiedono un ennesimo colpo d'ala. L'esercito delle libertà, giusto ieri, gli ha recapitato una lettera con un consiglio-preghiera: «Caro Silvio, ora ritira immediatamente la tua delegazione da palazzo Chigi. Tutti: dai ministri ai sottosegretari». E poi: c'è voglia di reagire alla mostruosità della sentenza di Milano, organizzando cortei e manifestazioni di piazza per denunciare l'assurdità del procedimento Ruby. Insomma, il clima è da redde rationem. Berlusconi ascolta, annuisce, riflette. In compenso, da ieri, il Cavaliere non compare più come membro della commissioni Affari costituzionali del Senato. Dagospia la butta lì: c'è da scommettere che magari si fa eleggere tra i nove rappresentanti del Senato presso l'Ueo, l'Assemblea dell'Unione dell'Europa Occidentale, i cui membri hanno l'immunità rafforzata.
Di fatto la sensazione è quella che il governo viva con la spada di Damocle sulla testa di un perenne ultimatum: parole chiare ma soprattutto fatti sull'abolizione definitiva dell'Imu sulla prima casa, sullo stop all'aumento dell'Iva, sulla detassazione per chi assume, su far la voce grossa agli euroburocrati a trazione tedesca o l'esecutivo muore. A conferma di ciò un Brunetta determinatissimo, in Transatlantico, vibra: «Il vertice del Consiglio europeo del 27 e 28 sarà fondamentale».

A Bruxelles il summit sarà incentrato sulla politica economica: come favorire la competitività, l'occupazione e la crescita; come accelerare sull'unione economica e monetaria dell'Ue, in particolare l'unione bancaria. Berlusconi e i suoi, questa volta, non si accontenteranno delle chiacchiere o dei «faremo». Letta jr naviga a vista e il rischio di incagliarsi su uno dei tanti scogli e affondare è dietro l'angolo.

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