RomaSono solo degli «autentici falsi»: questo è l'ossimoro con cui Giorgio Napolitano liquida le sintesi delle sue telefonate con Nicola Mancino intercettate dai magistrati di Palermo e pubblicate da Panorama. Ma se le ricostruzioni sono patacche, se quei ruvidi giudizi su Berlusconi, Di Pietro e i pm siciliani sono fasulli, vera e pesante è invece, secondo il Quirinale, «la campagna di insinuazioni e sospetti» scatenata contro il capo dello Stato. E siccome «il presidente non ha nulla da nascondere», la «pretesa di poterlo ricattare, da qualsiasi parte provenga, è risibile». Lui infatti, annuncia, non ha alcuna intenzione di mollare e anzi terrà «fede ai suoi doveri costituzionali».
Dopo il «forte turbamento» di mercoledì, ora l'«ira» presidenziale trova sfogo in una nota durissima, venti righe infastidite per cercare di spegnere una polemica infinita. Napolitano ha già risposto «con atti formali e istituzionali» e attende «serenamente» il responso della Consulta sul conflitto di attribuzione sollevato contro la procura di Palermo. La Corte Costituzionale affronterà il dossier solo il 19 settembre e ci vorranno poi alcune settimane prima che si pronunci sul caso delle intercettazioni. Ma intanto c'è il rischio che escano altre «presunte indiscrezioni», che filtrino altri «veleni». Da qui la scelta di intervenire su una vicenda che sembra ancora molto lontana dalla sua conclusione.
Ecco allora la denuncia di «una campagna di insinuazioni e sospetti», cioè di un complotto contro il Colle e, indirettamente, contro la stabilità del quadro politico, che arriva proprio nel momento più delicato della storia del Paese. La manovra, si legge nel comunicato del Quirinale, «ha raggiunto un nuovo apice con il clamoroso tentativo di alcuni periodici e quotidiani di spacciare come veritiere alcune presunte ricostruzioni» delle telefonate tra Napolitano e Mancino, pressato dai pm di Palermo che indagano sulla trattativa Stato-mafia degli anni Novanta. E adesso «alle tante manipolazioni si aggiungono così degli autentici falsi». Il problema ora è capire chi c'è dietro questi attacchi, che si intrecciano con la riforma delle intercettazioni e la guerra tra le procure e il Cavaliere. La pubblicazione delle sintesi su Panorama ha fatto pensare ad alcuni settori del centrodestra. Fabrizio Cicchitto però smentisce: «Noi non diamo sponde al giustizialismo, le manovre contro il capo dello Stato vengono da sinistra, da un ambiente ben preciso, quello di Ingroia, di Di Pietro, del Fatto, di Zagrebelsky». E Gianni Letta sale al Quirinale per offrire, anche plasticamente, la solidarietà del Pdl al presidente. Del resto il Fatto e Di Pietro continuano da più di due mesi a cannoneggiare il Colle.
Tentativi e pressioni che Napolitano, «da qualunque parte provengano», giudica inutili, anzi «risibili». E ciò perché «il presidente della Repubblica non ha nulla da nascondere ma soltanto valori di libertà e regole dei garanzia da far valere». Per questo, per «tutelare non la sua persona ma le prerogative proprie dell'istituzione», ha chiesto alla Corte Costituzionale di «pronunciarsi in termini di principio sulle intercettazioni dirette o indirette di suoi colloqui telefonici».
In conclusione, sarà impossibile secondo il Quirinale sperare di «poter ricattare il capo dello Stato», che mantiene «la ferma determinazione» di portare a compimento il suo mandato nella pienezza dei suoi poteri previsti dalla Carta.
Insomma, guai a toccare l'arbitro a partita in corso, questo è il senso del messaggio del Colle. Ma la sensazione è che le acque si calmeranno solo dopo un'intesa bipartisan sulle intercettazioni.
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