Vorrei che la gente non fosse ingannata dalle parole in libertà di molti commentatori che sono intervenuti sulla vicenda giudiziaria di Alessandro Sallusti, condannato in via definitiva a quattordici mesi di carcere per un reato commesso a mezzo stampa. Il rischio di fare confusione è molto alto. Alcuni affermano che i giornalisti hanno sfruttato questo caso paradossale e abnorme onde ottenere due scopi: difendere il direttore del Giornale per difendere se stessi dal pericolo di finire nei suoi stessi guai. La loro, in sostanza, sarebbe soltanto una presa di posizione per tutelare la categoria. Non sarebbero cioè mossi dal desiderio nobile di segnalare una ingiustizia, bensì da quello di fare quadrato attorno a una corporazione che godrebbe di privilegi.
Persino un collega straordinario quale Massimo Fini, bravo ma schiacciato dall’esigenza di recitare sempre e comunque la parte del bastian contrario, in un articolo sul Fatto Quotidiano si è piegato al luogo comune secondo il quale gli iscritti all’Ordine usufruiscono di imprecisati privilegi. Il che è semplicemente falso. Essi, in realtà, nella misura del 95 per cento, sono sottopagati. Un ragazzo alle prime armi, praticante, supera a malapena 1000 euro netti al mese. Quando poi diventa professionista, percepisce al massimo 1.500 euro. Qualche anno più tardi, se è fortunato, arriva a 2.200 euro, compreso il lavoro straordinario, notturno e festivo. Poi ci sono la anzianità e la progressione di carriera (quando avviene) a incrementare la busta paga dal 10 al 30 per cento.
Un caporedattore, se intasca, in età matura, 4.000 euro si considera fortunato. Un vicedirettore mediamente ha una retribuzione mensile di 6.000. E questi signori sarebbero dei privilegiati? Un tempo era diverso. Trentaquarant’anni fa, i cronisti guadagnavano il doppio o il triplo di ora. Oggi sono ridotti male. Oddio. Le cosiddette grandi firme incassano parecchio, dipende dalla loro forza contrattuale. Ma si tratta di una minoranza esigua che non costituisce corporazione. Non lo è di fatto. Semmai è una casta. Una castina. Per quanto riguarda i direttori, il discorso è diverso. Ciascuno di essi ha un prezzo, non esistono tabelle che ne regolino la remunerazione. Ma non si pensi che siano tutti dei nababbi.
E allora, caro Fini, come puoi dire che la categoria ha interesse a erigere barricate intorno a se stessa? Tra l’altro, i giornalisti si sbranano fra loro. Se ne metti due in una stanza, dopo dieci minuti hai creato due correnti avverse. Dirò di più. Sono stato per una quindicina di anni dipendente del Corriere della Sera , che aveva un organico di quasi 300 professionisti: ebbene ci scannavamo, altro che corporazione, una gabbia di matti. Per una promozione a caposervizio, qualcuno era disposto a far scorrere sangue.
Ne avrei tante da raccontare.
Fini correttamente dichiara che i cittadini sono tutti uguali davanti alla legge, giornalisti inclusi. Nessuno sostiene il contrario. Se io uccido la portinaia, vado in galera come un tranviere o un geometra. Il punto è un altro. È sbagliato che un collega sia perseguito penalmente per un articolo. Ciò non significa affatto che sia lecito diffamare. Chi lo fa, deve pagare, risarcire e pubblicare la rettifica; non andare in prigione. Ciò non serve all’offeso né alla società, ma al potere tirannico. I danni si riparino e basta. Avviene così in tutti i Paesi dell’Occidente eccettuato l’Italia, che ha una legge perfetta per un regime dispotico e inadatta a una democrazia decente e rispettosa della libertà di opinione, condivisibile o no che sia. Non chiediamo la luna nel pozzo. Semplicemente che i politici si rendano conto di questo: i reati a mezzo stampa vanno puniti severamente sul piano civile e non su quello penale. Lo raccomanda l’Unione europea, non solo noi scribi.
Non capisco perché tu, Fini, difenda una norma antiquata e fascista in nome di un malinteso egualitarismo. Da quando in qua un cittadino - non giornalista - è andato in prigione per una opinione sballata e offensiva? E allora perché ci deve andare Sallusti o qualche altro Sallusti (ce n’è sempre uno). Il codice Rocco ha un pregio. È scritto bene. Ma se scrivessi bene che tu sei da condannare a morte, non renderei un buon servizio alla civiltà giuridica. Non è la prosa che si pretende di cambiare, bensì il contenuto della legge di cui discutiamo.
Alcuni anni fa ebbi a polemizzare con Deborah Bergamini (Pdl) sulla legge riguardante le intercettazioni. La deputata era favorevole al carcere per i giornalisti che le pubblicassero; io contrarissimo. Lo scontro avvenne su Libero . Questo per dire che anche il centrodestra è incline alla carcerazione dei giornalisti. Ha nel Dna la mania di sbattere «dentro» chi osi disturbare il manovratore.
Retaggio fascista? Giustizialismo plebeo? Arroganza? Spietatezza? O ignoranza del diritto anzi dei diritti? I sedicenti liberali probabilmente hanno nostalgia dell’olio di ricino da somministrarsi ai nemici. Per gli amici della parrocchietta basta la vaselina.
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