Non sarà un verdetto grottesco a cancellare Silvio dalla storia

Berlusconi è stato un leader democratico che in diciotto anni ha trasformato un grande Paese sulla scena mondiale. E che milioni di italiani rimpiangeranno

Non sarà un verdetto grottesco a cancellare Silvio dalla storia

Non dico si debbano tributare onori divini, l’apoteosi del diritto romano, a Berlusco­ni: sarebbe il primo a riderne. Oltretutto giusto ieri ha dato la sua interpretazione del ritiro: mi ritiro, cioè no. Grandioso e surreale. Ma comun­que vadano le cose, la damnatio memoriae ,con abolizione del nome per generazioni e sfregio del silenzio coatto imposto anche solo al suo ricordo, questo è un po’ troppo per un leader democratico che ha tra­sformato un grande Paese in di­ciotto anni di vita pubblica sulla scena europea e mondiale. La grottesca condanna per i diritti te­levisivi subito seguita alla sobria e molto onorevole uscita di sce­na del Cav, figura che milioni di italiani sono pronti a rimpiange­re, punta proprio a questo, fa da battistrada a questo progetto: è un atto simbolico, come tutti san­no, corredato di immediate moti­vazioni pronte all’uso, ma desti­nato alla cancellazione da parte della Corte costituzionale o alla prescrizione ultrasicura. Insom­ma è solo un modo della giusti­zia di rito ambrosiano di riconfer­mare che ci sono anche loro nel giorno fatale, e il loro contributo è di trasformare in un abominevo­le reo l’Arcinemi­co, il mitico froda­tore fiscale che nella realtà paga più tasse di un Creso.

Berlusconi ha preso la guida del­l’Italia tre volte grazie a libere ele­zioni, l’ha persa per due volte gra­zie a un ribaltone e a una manovra di palazzo aiutate e in certo senso anche obbligate dal circo mediati­co- giudiziario, l’ultima delle qua­li lo ha avuto sog­getto responsabi­le e consenziente un anno fa. (Le sue colpe politi­che nel procurarsi la difficile con­giuntura in cui è caduto non tol­gono il fatto di principio: gli italia­ni lo hanno eletto e il mandato gli è stato sempre revocato dagli ot­timati del partito senatorio e fi­nanziario, non dagli elettori.) Portiamoci avanti con il lavo­ro, nel tentativo di impedire l’al­lestimento in corso dell’avvilen­te messinscena: la «caduta di un grande criminale». Questo co­pione plateale è presupposto tri­ste e necessario dell’eliminazio­ne censoria della vera storia del berlusconismo dai radar dell’in­telligenza italiana; dovere politi­co e civile anticipare un lavoro che ha anche un valore decisivo per chi riuscirà, se ci riesce, a co­st­ruire qualcosa che rivesta un si­gnificato profondo al posto della leadership di Berlusconi, oggi nel ruolo di memoria e ispirazio­ne ( spero e credo rivestiti con l’al­legria non intrusiva già promes­sa).
La parte spiccatamente giudi­ziaria è chiara. Il processo Ruby naufraga nel grottesco dell’in­quisizione talebana e guardona. Le risposte della signora Karima El Marough alla trasmissione di Michele Santoro fanno testo per­ché sono limpide e spontanee nel tratto. Berlusconi è persona corretta, ridanciana, amante del trastullo burlesco, ospitale, pri­vata nel suo modo di divertirsi, ma corretta, niente di predato­rio e di umiliante per le donne e per il loro retoricamente sban­dierato «corpo», perfettamente e gioiosamente violabile se in re­gime di adulti consenzienti e in­vece inviolabile alle propalazio­ni bacchettone di una magistra­tura in fregola di politica & etica al servizio di oscuri pregiudizi, con qualche abbondante e inde­cente aiutino mediatico. La con­cussione fa ridere tutto il mondo del diritto, perfino i persecutori. Una condanna in simile proces­so sarebbe il timbro finale di una persecuzione che solo la cecità faziosa dell’inimicizia politica consente di non vedere e giudica­re in tutto il suo orrore civile. Sim­bolo e gogna da aggiungere al simbolismo inutile, per suffra­garlo e rafforzarlo, della senten­za del giudice D’Avossa. Insom­ma, giustizia sommaria.
Poi c’è la parte politica, civile. Berlusconi è stato potentissimo, ora merita la polvere. Buffonata. Tutti conoscono i limiti bestiali in cui opera un presidente del Consiglio italiano (basta guarda­re al trattamento elettoralistico che stanno facendo a Mario Mon­ti, già mezzo paralizzato e sfregia­to da campagne incivili, o alle cat­tive figure rimediate da Romano Prodi o da Massimo D’Alema). La forza elettorale è stata ben controbilanciata dalle fughe par­lam­entari ricorrenti e dal ribalto­nismo, malattie senili delle Re­pubbliche malate. Berlusconi ha fallito, dicono. Ma che vuol di­re? Ci ha dato un paesaggio di pa­role e cose di legno totalmente trasformato in emozioni e spon­taneità vivente, ha incarnato il maggioritario, ha dato potere al popolo che sceglie chi governa, ha tenuto a freno per anni la rapa­cità dello Stato, non ha smantel­lato il welfare ma ha fatto le gran­di riforme delle pensioni e del la­voro prima della Fornero, e in­somma, se di fallimento dell’eco­nomia e della finanza vogliamo parlare, parliamone: ma vedrete che è pieno di cause, di fattori di spinta, di remore e pigrizie, e di imputati potenziali che vengo­no nella lista quasi tutti prima di Berlusconi. Poi dire che il suo progetto ha declinato, questo è vero e Berlusconi è il primo a sa­perlo.
Il tempo si prende cura di ridi­mensionare sogni e progetti, ma questo non autorizza i nani a de­cretare la damnatio memoriae , sotto la coltre censoria di un seg­mento di storia che si spera di consegnare prigioniero ai pre­sunti vincitori, ovvero la cancel­lazione legale della robustezza e anche della grandezza di un’esperienza politica unica al mondo.


E ricordiamoci che abbiamo scelto Israele e gli Stati Uniti nel fuoco della battaglia, che Berlu­sconi è stato dalla parte giusta nei momenti cruciali delle gran­di sfide occidentali, e che ancora oggi l’Italia non è una sentina del­la secolarizzazione giacobina, una ridicola Repubblica ideolo­gicamente corretta, anche per merito suo. Chapeau e buon lavo­ro.

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