Il nuovo patto mette Alfano all'angolo

Il leader Ncd si infuria contro l'ipotesi di riforma elettorale: "Non ci faranno tornare all'ovile per legge"

Il nuovo patto mette Alfano all'angolo

Roma - Tensione, speranza, rabbia, paura, perfino evocazioni un po' sinistre del Patto Molotov-Von Ribbentrop. È un pomeriggio che si tinge di sfumature vagamente surreali quello del Nuovo centrodestra. Una giornata vissuta con il corpo a Pesaro, dove si svolge la kermesse dei giovani alfaniani, e la mente rivolta verso Roma, a Via del Nazareno dove si decide il futuro della legislatura e del governo, ancora prima del modello di legge elettorale da adottare alle prossime elezioni. Dietro le quinte del convegno marchigiano, gli occhi di tutti sono puntati sulle agenzie che raccontano dell'arrivo di Silvio Berlusconi nella sede del Pd per il faccia a faccia con Matteo Renzi. Gli umori sono quelli di chi non si fida e attende con impazienza. Per questo, per esorcizzare il timore di una marginalizzazione si caricano le armi dialettiche. Fabrizio Cicchitto in mattinata evoca la spartizione della Polonia tra Hitler e Stalin. Maurizio Lupi dice chiaro e tondo che il Nuovo centrodestra non accetterà un accordo tra i due partiti maggiori che faccia fuori i partitini. Una linea sposata anche da Renato Schifani. «Berlusconi per ora è all'opposizione. Se Renzi vuole fare un governo con lui, vada pure avanti». Roberto Formigoni agita lo spettro dell'inevitabile sconfitta parlamentare per Renzi, in caso di adozione del sistema spagnolo. «Di voto segreto si parla apertamente nel Pd. E va ricordato che Pd più Fi non sono maggioranza al Senato». Chi alza i toni, proprio durante la conferenza stampa di Renzi, è Vincenzo Piso. «Questo spagnolo corretto sa molto di fregatura toscana. Ma Renzi, questo Pinocchietto venuto da Firenze, pensa che gli italiani siano scemi? Anni di contumelie contro il Porcellum e adesso ci propongono il porcellinum toscano senza vergogna». Dura anche Simona Vicari. «Oggi è nato Renzusconi». E Barbara Saltamartini minaccia apertamente l'addio all'esecutivo. «Se l'intenzione di Renzi è fare un Porcellum mascherato questo pone un'ipoteca pesante sul governo».

Angelino Alfano - che si sente telefonicamente con Renzi durante il vertice al Nazareno - a sua volta insorge, affila i toni e lancia il suo grido di battaglia. «È inutile che ci inducano, per legge, a tornare all'ovile perché noi non torniamo indietro! Per noi la scelta è compiuta. Senza o contro di noi la legge non possono farla. Anche perché noi abbiamo avuto il coraggio di rompere con Forza Italia e non siamo un piccolo partito. La verità che è non ci ama né il centrosinistra né il vecchio centrodestra». L'altra arma dialettica è l'opposizione a ogni forma di liste bloccate. «Siamo contro il Parlamento dei nominati» quindi «non ci propongano di nuovo delle liste bloccate piccole o grandi che siano perché noi non le votiamo». Inoltre Ncd è «a favore di uno sbarramento vero che consenta di eliminare il ricatto dei partitini. Visto che noi non siamo e non saremo un piccolo partito non temiamo lo sbarramento vero. Anzi noi siamo il partito al quale il centrodestra appende le sue possibilità di vittoria. Senza di noi il centrodestra diventa terzo polo». Naturalmente c'è anche una buona dose di tattica in queste dichiarazioni. Fuori dalle parole ufficiali dentro Ncd si confida e si spera che alla fine la scelta ricada su quello che è stato ribattezzato «modello spagnolo made in Italy», uno spagnolo «corretto» con due tipi di soglie, al 4-5% (meglio il 4, ammettono) e all'8% a seconda che ci sia o meno un apparentamento. Ma è «imperativo» che la ripartizione avvenga su base nazionale e non sulla base delle circoscrizioni provinciali. «Se la soluzione fosse questa, per noi potrebbe andare bene» confidano. Il punto, però, è anche misurare le conseguenze politiche dell'accordo Renzi-Berlusconi.

E valutare se non si corra il rischio di farsi rosolare a fuoco lento, ospiti sgraditi di un governo di cui Enrico Letta rischierebbe di diventare il mero esecutore di indicazioni altrui e Silvio Berlusconi l'azionista esterno con una delega di fatto alle grandi riforme.

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