di Giuliano Cazzola*
La conferenza dei capigruppo di Montecitorio ha accolto la proposta del Pd di calendarizzare per l'Aula, il prossimo 8 ottobre, la proposta di legge AC 5103 a prima firma dell'ex ministro Cesare Damiano, approvata dalla commissione Lavoro prima della pausa estiva con voto unanime di tutti i gruppi (sono stato il solo a non prendere parte, per protesta, alla votazione). Tale proposta è rivolta a consentire a tutti i cosiddetti esodati (in un arco temporale che arriva fino al 2019) di andare in pensione con i requisiti in vigore prima dell'approvazione della riforma Fornero.
È indubbio che queste persone (molto attive nella protesta) abbiano dei problemi reali e siano comprensibilmente preoccupate per il loro destino, a fronte di una riforma che non si è fatta sufficientemente carico di garantire una transizione equilibrata. Resta il comprensibile dubbio se questo sia il momento opportuno per destinare (ammesso che si trovino) altri 4 miliardi di euro allo scopo di risolvere legittimi problemi che si porranno nell'arco di 7-8 anni, dopo che sono stati stanziati ben 9 miliardi (da ultimo ben 4,4 miliardi nella spending review) per salvaguardare 120mila casi che andranno in quiescenza nel 2013 e nel 2014. Tanto più, considerando che la copertura individuata (il gioco online) è propagandistica e che le commissioni Finanze e Bilancio non hanno ancora espresso il parere previsto. A osservare attentamente, poi, le diverse situazioni di esodo, su parecchie di loro ci sarebbe da ridire.
Approfitto della vostra ospitalità per raccontare ai lettori la vicenda di un signore che prima mi ha telefonato, poi scritto per raccontarmi la sua storia. Il nostro, prima dell'entrata in vigore della riforma, ha negoziato con la sua azienda una extraliquidazione di 300mila euro che doveva servire, in parte, a riscattare gli anni di laurea allo scopo di maturare l'anzianità contributiva necessaria per accedere alla pensione. Per effettuare tale operazione (magari sopportando costi inferiori) si è iscritto alla Gestione separata presso l'Inps (dove stanno i co.co.co.), stipulando con l'ex datore di lavoro un finto contratto di collaborazione, con tanto di remunerazione di 40mila euro, anch'essa finta, considerato che non erano previste né prestazione né erogazione.
Tutta questa messa in scena doveva servire al signore per poter pagare le rate del riscatto. Ovviamente, figurando ancora in attività, versava i contributi spettanti. Quando si è presentato all'Inps per farsi riconoscere l'applicazione delle regole di pensionamento previgenti, gli è stato obiettato che risultava ancora in attività dopo l'entrata in vigore del decreto «Salva Italia» e che, pertanto, non rientrava nel novero dei salvaguardati a cui era richiesto di aver risolto, prima, il rapporto di lavoro. Questo signore, che spiega con disinvoltura il marchingegno a cui è ricorso, non solo non si rende conto che potrebbe essere accusato di truffa ai danni dell'Inps, ma rivendica anche il diritto di andare in pensione senza dover sottostare al «capestro» delle nuove norme.
*Deputato del Pdl
e vicepresidente
della commissione Lavoro
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