Nel campo delle imposte e delle tasse non ci facciamo mancare nulla. Mentre continua il tormentone dell'Imu sulla prima casa dei cosidetti «ricchi», cioè il 30 per cento del totale di una buona fetta di ceto medio, ecco ora quello della Tobin tax sulle operazioni finanziarie, che dal primo settembre dovrebbe essere applicata ai derivati. L'Italia è l'unico Paese al mondo che lo farebbe, sicché l'effetto sarà quello di distruggere questo nostro mercato finanziario, dato che gli operatori si sposteranno all'estero.
La Tobin tax è stata introdotta in Italia dal governo Monti con inizio nel 2013, un anno di anticipo rispetto a quanto stabilito dall'Unione europea, che ora ci sta ripensando. Per le azioni, quote di fondi e simili essa è in vigore da marzo. Il gettito previsto era 1,1 miliardi. Ma a luglio era oramai chiaro che sarebbe stato di 250 milioni al massimo, perché 100 dovrebbero venire da operatori esteri che compravendono titoli italiani e molti vi sfuggiranno. In effetti, le operazioni di Borsa si sgonfiano, quando nel pomeriggio aprono quelle degli Stati con fuso orario sfasato. Per i derivati la Tobin tax doveva entrare il vigore in giugno. Il governo Letta l'ha spostata al 2 settembre, con versamenti prorogati dal 16 ottobre.
Le norme applicative tardano. I derivati tassati sono quelli relativi ad azioni ed altri strumenti partecipativi. Sono esclusi quelli su titoli a reddito fisso, valute e merci. Ma ci sono derivati ibridi, con parti dei due tipi. La loro sorte non è chiara. Inoltre questa tassazione è di dubbia costituzionalità perché, riguardando solo certi tipi di derivati, contrasta con il principio di eguaglianza a parità di capacità contributiva. Essendo distorsiva della concorrenza, implica anche la possibilità di ricorsi in sede Ue.
Non ho capito in che senso Monti possa definirsi un economista liberale, propugnando questo tributo pensato da Tobin e prima di lui da Keynes per «gettare sabbia negli ingranaggi» del mercato finanziario. D'altronde, la giustificazione fiscale del tributo, quella di raccogliere 1,1 miliardi, non regge perché il costo di accertamento e riscossione è così elevato che può mangiarsi tale gettito. Ma il provento sarà meno di 300 e la parte sui derivati al massimo di 100. Lo spostamento sull'estero di queste operazioni è facile e l'accertamento che riguarda una tassa per importi fissi a scaglioni su miriadi di operazioni in ogni ora diurna e notturna è molto difficile. Non è chiaro perché gli esperti del governo tecnico di Mario Monti pensavano che questa tassa, aberrante dal punto di vista dell'economia di mercato e dei principi di capacità contributiva, sia uno strumento tecnicamente valido per far soldi. Ora al posto di Monti c'è Letta e al posto di Vittorio Grilli alla guida dell'Economia c'è Fabrizio Saccomanni. È a loro che tocca stabilire perché proprio l'Italia debba applicare questa tassa sui derivati che nessun altro ha. Se c'è un Paese che non ha un eccesso di finanza speculativa, ma se mai un ritardo nell'innovazione finanziaria, questo è il nostro. A che serve una nuova tassa che danneggia gravemente il mercato della nuova finanza, in cambio di un gettito irrisorio inferiore ai costi di riscossione?
La dilazione non è un rimedio perché tre mesi di ritardo non cambiano il quadro e nel frattempo c'è la spinta agli spostamenti all'estero. Sicché l'annuncio che il tributo in futuro sarà applicato, crea lo stesso il danno, anche se esso ora non c'è.
Le imposte sui trasferimenti di ricchezza, come scriveva Einaudi, sono spazzatura finanziaria perché intralciano il funzionamento del mercato. La Tobin tax esistente è un'immondizia che puzza di anticapitalismo. Evitiamo di aggiungerne ancora.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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