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La paralisi di una nazione senza Stato

Di che cosa parla la vicenda dei due marò messi sotto processo in India in modo offensivo per la nostra sovranità nazionale, poi trattenuti in Italia anche in questo caso con il massimo dell'improvvisazione e infine con altrettanta malagrazia restituiti a Nuova Delhi? Al fondo di una così ampia e articolata dabbenaggine vi è una principale causa: la verticale crisi dello Stato italiano che, da strisciante com'era prima del governo Monti, oggi è diventata galoppante. D'altra parte se dall'Asia si passa all'Europa lo scenario non cambia. Che cosa è passato per la testa agli esponenti italiani, in qualche modo coinvolti nel governo delle istituzioni europee, di autorizzare uno sconclusionato diktat per una feroce tassazione dei conti correnti depositati presso le banche cipriote? Come mai i diversi esponenti del nostro governo impegnati a vario titolo a Bruxelles non sono stati in grado di rendersi conto immediatamente che autorizzando il provvedimento su Nicosia e dintorni, mettevano sotto schiaffo gli investimenti e il risparmio nazionali? Anche in questo caso, oltre le inettitudini dei singoli, appare evidente come sia in crisi uno Stato nazionale largamente incapace di difendere gli interessi della propria comunità. D'altra parte questo sentimento sconfortante si era avvertito con chiarezza quando si aveva assistito alla persecuzione sistematica di due delle più grandi aziende d'Italia, la Finmeccanica (nella quale gli amministratori delegati sono stati fatti cadere come birilli provocando tra l'altro la messa in discussione di fondamentali contratti vitali per la nostra economia) e l'Eni (di cui era stata messa sotto pressione con accuse approssimative tutta la dirigenza esponendo a rischi finanziari una società da cui dipendono interessi fondamentali per la nostra economia e per la nostra popolazione: un Ente senza il quale sorgerebbero terribili questioni per il nostro approvvigionamento energetico). La questione non è solo cercare gli errori dei singoli: le distrazioni di un governo malcombinato con la boria dell'«abbiamo riconquistato credibilità» che è diventata crescente subalternità verso i membri «egemoni» dell'Unione europea o lo zelo malriposto di una magistratura con settori sempre più deragliati. Certo, vi sono responsabilità individuali, ma quel che appare evidente è come le varie «colpe» siano prodotto e non causa della crisi organica dello Stato. La nostra Costituzione traeva parte centrale della logica del suo ordinamento (capo dello Stato, esecutivo, Parlamento, sistema delle autonomie, sistema giudiziario) da compromessi resi necessari dalla Guerra fredda: quando questa tra il 1989 e 1991 finì, si trattava di ridare alla base dello Stato coerenza. Non si è riusciti a farlo, innanzi tutto per l'uscita dai cardini di parte rilevante della magistratura, e quando dopo il 2008 tedeschi e americani in difficoltà per la crisi finanziaria si sono messi a semplificare le governance delle situazioni più fragili, Roma si è trovata nel mirino e la crisi evidente si è trasformata in collasso o almeno in un pre-collasso di cui il vanesio governo Monti è stata l'espressione più evidente. Da qui la rabbia irrazionale di ampi settori popolari che si sentono abbandonati dallo Stato e scelgono Grillo, da qui un irrefrenabile sistema di influenze straniere che condiziona la nostra vita politica ed economica.

Marò, Cipro, Finmeccanica, Eni ci raccontano questa storia. Si può rimediarvi? Solo se si coglierà come il primo problema è ridefinire uno Stato pienamente fondato sulla sovranità popolare a garanzia della sovranità nazionale.

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