Roma «Facce nuove»va ripetendo Montezemolo, sempre più indeciso a tutto. La sua Italia Futura, da anni sul punto di scendere in campo, tentenna attorno al centro, che però è affollato di vecchie glorie più che di volti nuovi. Passi per Casini, ma su altri veterani della politica Montezemolo sta mettendo il veto, a costo di far saltare la convention delle forze pro Monti-bis (“Lista per l’Italia”) convocata da Udc e Fli per il 20 dicembre a Roma. Tra i futuristi di Italia Futura e quelli di Fli c’è un macigno di mezzo chiamato Gianfranco Fini. Un pezzo di Italia passata che Montezemolo non vuole sobbarcarsi, convinto che col leader Fli (da 30 anni in Parlamento) siano più i voti che si perdono di quelli che si guadagnano. Da una parte ci sono i numeri, quelli dei sondaggi, che danno Fli all’1,6%, molto lontano dalla soglia di sbarramento che la bozza di nuova legge elettorale sta fissando al 5% e che il Porcellum fissa comunque al 4% per i singoli partiti. Dall’altra ci sono le considerazioni (abituali per un manager come il presidente della Ferrari) sul «brand» Fini, assai logoro, specie nell’elettorato di area centrodestra, quello più appetibile per la lista Montezemolo. Una fetta di italiani moderati che magari si sono allontanati dal Pdl ma non sono disposti a sostenere Fini, subalterno per vent’anni a Berlusconi e protagonista del Tullianigate, la vicenda della casa di Montecarlo che ne ha affossato definitivamente le ambizioni da leader della nuova Repubblica. D’altronde Montezemolo va ripetendo anche che occorre «andare oltre la destra e la sinistra di questa fallimentare Seconda Repubblica», dentro cui ci mette i busti di Lorenzo Cesa, segretario Udc, e per l’appunto di Gianfranco Fini. Che la partita sia complicata, anche dalla cronica incertezza dalla truppa montezemoliana, lo prova il fatto che pure con l’Udc, con cui l’asse è più solido, si registrano fratture e critiche. Come la bocciatura secca pervenuta da Italia Futura dopo la convention Udc a Chianciano (cui partecipò anche Fini, e anche Passera): «Un fritto misto che rischia di essere una pietan- za indigesta per il Paese».
Il tempo stringe, le elezioni si avvicinano, i giochi vanno fatti subito se non si vuole essere cannibalizzati dagli altri. Il Pd di Bersani, galvanizzato dalle primarie vinte, si sta spingendo verso il centro, corteggiando il mondo cattolico di sinistra (i Papi e i parroci citati da Bersani nella sfida con Renzi...). La galassia Pdl, pur nelle violente turbolenze, cerca di riorganizzarsi per riconquistare le percentuali lasciate per strada, nel suo bacino elettorale che si sovrappone in parte a quello cui punta il progetto del presidente Ferrari. Se Montezemolo non decide, si rischia di racimolare poco, ed è per questo che i politici più esperti come Casini e Fini stanno accelerando la nascita del nuovo Terzo polo, spingendo Montezemolo a sciogliere le riserve. Soprattutto Fini, che fuori da uno schieramento rischia, anzi è certo di non essere rieletto. Dopo aver attaccato i suoi vecchi colonnelli di An («Hanno bisogno di un generale »), Fini si ritrova nell’infausta condizione di generale senza un esercito, e con ufficiali spesso scadenti e pronti a mollarlo.
Nella disperazione, dentro Fli hanno pensato anche ad allearsi col Pd, senza essere però corrisposti. È stato il vicepresidente di Fli, Italo Bocchino, a proporre «un’alleanza con il Pd che preveda Monti come candidato a Palazzo Chigi». Da Almirante a Bersani, passo troppo lungo anche per Fini, che pure ha cambiato rotta più volte, ma che è dovuto intervenire bollando come un «errore» l’uscita del suo numero due. Resta l’alleanza con Casini, che dal suo 5% detta le condizioni al presidente della Camera, corteggiatore senza amanti. C’è chi ha fatto di meglio di Bocchino, cioè il deputato Granata, che per superare l’ horror vacui (di voti) che rischia Fli ha buttato lì, in estate, un asse inedito: «Fli con Idv, e Fini candidato premier ». Mancano solo Vendola e il M5S e poi Fli ha lanciato l’amo a tutti i partiti, nessuno escluso (sì, anche al Pdl ad un certo punto).
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