Prima di tutto, su di lui hanno messo in circolazione una battuta feroce: «Renzi è l'unico bambino che mangia i comunisti». Poi, la grande proletaria si è mossa. Il partito. Anzi, il Partito maiuscolo, quello che conserva i gioielli della corona del passato mai rinnegato, e sono state botte da orbi. D'Alema gli ha dato dell'ignorante, del superficiale e nel Pci di Togliatti il delitto di superficialità poteva costare, politicamente, la testa e dell'abile parlatore sostenuto da un parterre de rois che va da Briatore a Carlo De Benedetti, anche se fra quei rois ci sono parecchi palafrenieri, cioè servitori, scudieri di bassa levatura, opportunisti e portaborse.
A questo punto, quando Massimo D'Alema ha dissotterrato l'ascia di guerra nel corso della trasmissione mattutina Agorà, si è capito che non si trattava di una schermaglia con punture di spillo, ma di una questione politica seria che gli umori e i caratteri non sono sufficienti a spiegare.
Qual è il punto politico che ha scatenato il putiferio? L'inattesa (per l'apparato e specialmente per D'Alema) vittoria di Renzi alle cosiddette «pre-primarie», in cui avevano diritto di voto soltanto i militanti con tessera e non i cittadini qualsiasi.
L'apparato andava sul sicuro: «Renzi vincerà magari la segreteria, però soltanto grazie ai voti degli esterni. Ma qui dentro, nei ranghi del partito, il sindaco di Firenze se lo può scordare di portarsi le gerarchie di partito: qui si romperà la testa». E invece, sorpresa, la testa se l'è rotta la vecchia nomenklatura perché il bambino che mangia i comunisti si è messo in tasca una grandiosa vittoria che preannunzia un vero trionfo per l'appuntamento di dicembre.
A questo punto è saltato il nervo. Specialmente quello di D'Alema. E improvvisamente si è assistito a una ripresa, anzi a una rianimazione dei concorrenti interni, specialmente Cuperlo e Civati.
D'Alema, come un sommo pontefice che custodisce le chiavi della verità e del passato, ha accusato apertamente Renzi di voler «distruggere la sinistra». E quello ha risposto beffardamente come un personaggio di Boccaccio, di quelli linguacciuti, che «è impossibile che io possa distruggere la sinistra perché l'hanno già distrutta loro». E poi precisa meglio che per «loro» intende proprio D'Alema che per la prima volta nella sua vita sta per perdere un congresso. L'ex presidente del Consiglio ha risposto a palle incatenate. Il partito, sotto la guida stretta di Epifani, ha deciso di blindare Letta d'accordo con il Quirinale e dunque di impedire in tutti i modi che Renzi possa far cadere il governo, provocare le elezioni e vincere il trofeo Palazzo Chigi.
Infatti, proprio D'Alema ha cominciato a ripetere come un disco rotto che «Renzi può essere un candidato presidente del Consiglio, ma non è all'altezza necessaria per guidare il primo partito italiano». Il che vuol dire: vai pure, caro, a romperti le corna contro il nostro bastione. Te lo scordi di succedere a Letta, che è sotto la nostra protezione. Magari vincerai anche la segreteria, ma te la daremo già azzoppata, con una maggioranza risicata e di scarso valore politico. Quello che dirai a nome del partito non varrà nulla e noi ripeteremo che sei un piccolo accidente storico, una nullità, un bambino viziato appunto che si è messo in testa di mangiare i comunisti.
D'Alema in questa situazione ricorda un po' il Papa Bonifazio del Mistero Buffo di Dario Fo, quello tutto coperto di manti e segni di potenza terrena, che avendo casualmente incontrato Cristo per strada lacero e pezzente, lo tratta appunto come un pezzente. E Renzi tutto questo lo sa, lo vede e pensa alla scissione. La parola «scissione» è quella che nessuno osa pronunciare, ma è il vero oggetto del desiderio: conosco molti nuovi «renziani» che si raccolgono in improvvisate catacombe con annessa caffetteria, i quali da tempo fanno soltanto organigrammi scissionisti.
Il fatto è che, questa ci sembra la novità, anche l'apparato dalemiano sta riflettendo su come liberarsi una volta e per sempre di Matteo Renzi. Dunque, parte intanto la manovra numero uno: depotenziare, minimizzare, contrastare e azzoppare l'inevitabile vittoria di Renzi. Diremo che si tratta di un elettorato che non ha nulla a che fare con noi, ispirato a un «tardo blairismo fuori tempo massimo» (riferendosi cioè all'ex primo ministro inglese laburista Tony Blair, peraltro emulo della conservatrice Thatcher) ed è un corpo estraneo, un accidente dello Zeitgeist, lo spirito del tempo, in questo caso berlusconiano.
Così, il Pd marcia a tappe forzate verso l'implosione. Se dobbiamo fare un paragone, mai fra Alfano e Berlusconi sono corse parole paragonabili per grevità e aggressività a quelle che D'Alema ha riservato a Renzi, né a quelle con cui Renzi ha risposto. Il Pd è cotto.
Va verso il congresso e alle ri-primarie con lo spirito con cui i tori andavano al macello nei templi sacrificali: tutti bardati di festoni colorati fra squilli di ottoni e rulli di tamburi, ma presto scorrerà il sangue.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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