Pubblicità di un fucile con il David di Michelangelo

Un'azienda americana ha sfruttato l'opera d'arte di Michelangelo per reclamizzare un fucile. Proteste dall'Italia

La pubblicità dell'azienda americana ArmaLite
La pubblicità dell'azienda americana ArmaLite

Un'azienda americana che produce armi ha pensato di farsi pubblicità utilizzando un'opera d'arte italiana conosciuta in tutto il mondo, il David di Michelangelo, che si può ammirare nella Galleria dell'Accademia di Firenze. Nella pubblicità della Arma Lite Inc, pubblicata su alcune riviste specializzate (e su Twitter), si vede il David che, in un fotomontaggio, anziché la fionda impugna il fucile, un AR-50A1. Lo slogan è questo: "A work of art" (un'opera d'arte). Ci si riferisce, ovviamente, alla scultura di Michelangelo ma, essendo un tutt'uno con il fucile, anche all'arma. Nulla da dire sull'efficacia del messaggio: sicuramente colpisce. Ma si può accostare un capolavoro del Rinascimento, simbolo dell'Italia e della cultura italiana, a un fucile? Molti pensano di no. Tra questi c'è il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, che su Twitter tuona contro l'iniziativa: "L’immagine pubblicitaria del David armato offende e viola la legge. Agiremo contro l’azienda americana che deve ritirare subito la campagna".

Dello stesso avviso è la soprintendente al Polo museale fiorentino, Cristina Acidini:"Diffideremo l’azienda dal continuare a divulgarla". E precisa che per utilizzare a scopo promozionale qualunque opera custodita nei musei fiorentini è necessaria una "valutazione della congruità dell’immagine che deve rispettarne la dignità culturale. In passato, campagne pubblicitarie di aziende italiane sono state autorizzate dietro valutazione del direttore e decisione della soprintendente". Insomma, non basta pagare.

L'opera d'arte è coperta da diritti, dunque, e lo sfruttamento dell'immagine a fini pubblicitari è subordinata a permessi rilasciati dallo Stato. A quanto si apprende, tra l'altro, l’azienda non avrebbe richiesto alcuna autorizzazione. Inevitabili, dunque, gli strascichi giudiziari. E facile prevederne l'esito. Nel frattempo, però, l'azienda si è fatta una grandissima pubblicità senza versare l'obolo all'Italia né chiedere il (dovuto) permesso.

Se qualche nostro imprenditore avesse sfruttato l'immagine della Statua della Libertà facendo lo gnorri rispetto ai permessi di sicuro dopo poco avrebbe ricevuto il conto (salato) dal National Park Service, che gestisce il monumento per conto del governo federale americano.

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