Polillo, il Gianburrasca tradito da Napolitano

Supremo divertimento del sottosegretario all'Economia, Gianfranco Polillo, è prendere tutto sottogamba. In mezzo agli imbalsamati colleghi del governo tecnico, sembra un vispo scoiattolo intrappolato tra le mummie di una tomba egizia. Nonostante abbia 68 anni, le studia tutte come un ragazzino per fare uscire dai gangheri Grilli, Fornero e gli altri sepolcri imbiancati con i quali passa la giornata.
Polillo è il più ridanciano tra i politici transitati per l'austero ministero dell'Economia. Di indole ilare e superficiale, dice cavolate con la stessa frequenza con cui Di Pietro sbaglia i congiuntivi. E, come lui, è diventato un fenomeno da circo che tutte le tv si contendono. È continuamente ospite di talk show nei quali parla a capriccio dell'universo mondo. In un anno, ne ha sparate di ogni tipo tenendo noi avvinti al teleschermo in attesa della polillata del giorno e sulle spine gli uffici stampa ministeriali pronti a smentirlo in diretta, com'è già avvenuto.
Quando Elsa Fornero si commosse al pensiero dei pensionati che aveva gettati sul lastrico, Gianfranco la definì pubblicamente «fontana che piange». Fornero si offese e Polillo si fece un nome. Un'altra volta se la prese con i sindacati Fiat perché - così disse - facevano da paravento agli operai che marinavano il lavoro per guardare il calcio in tv. La polemica rese Gianfranco ancora più famoso, moltiplicandone le apparizioni tv. Durante una di queste, propose di rinunciare a una settimana di ferie per produrre di più e aumentare di un punto il Pil. Iniziativa tutta sua, mai esaminata dal governo, che fu respinta al mittente dicendogli che dava i numeri. La fama di Polillo crebbe ancora e si avvicinò a quella di Vittorio Sgarbi. Il giorno stesso in cui scoppiò il pasticcio forneriano degli esodati, Polillo andò in tv consigliando gli interessati a fare come niente fosse, riprendersi il posto lasciato o chiedere al giudice di reintegrarli nei loro diritti. In fondo non aveva torto, ma politicamente era distruttivo perché sbugiardava le decisioni del governo e metteva a nudo la pochezza dimostrata nell'occasione dalla signora Fornero. Com'era scontato, Elsa si inviperì e chiese la testa del sottosegretario. Monti, che pure considerava Polillo uno scocciatore, gliel'avrebbe data volentieri, ma non lo fece. Infatti, rischiava di irrigidire il centrodestra, mettendo a rischio il suo gabinetto.
Gianfranco, a parole, è nel governo come indipendente. In realtà, è stato raccomandato da Fabrizio Cicchitto, capogruppo dei deputati del Pdl. Lo ha raccontato lui stesso, con la simpatica spavalderia di chi non ha niente da nascondere e poco da perdere. Alla domanda: «Com'è finito con Monti?», ha risposto: «Ho dato il curriculum a Cicchitto. Lui l'ha dato a Monti, che non conoscevo. Tutto qui». Con la stessa faccia tosta, per dirvi il carattere, ha ammesso di intascare ventimila euro al mese di pensione, aggiungendo però che si concede «meno ferie di un metalmeccanico».
Prima di rivelarvi com'è che Polillo sia nel centrodestra e delle sue giravolte politiche, fatemi raccontare un'altra gaffe, che trovo particolarmente indicativa della sua personalità. Poco tempo fa, su La7, il sottosegretario dialogò con un piccolo imprenditore che addebitava al governo i propri guai. Mentre si sfogava, l'industriale gli allungò un mazzo di chiavi dicendo amaramente: «Domani i miei negozi li aprite voi». Polillo, invece di capire lo stato d'animo dell'interlocutore e credendosi come sempre il più furbo, volle prenderlo in castagna. Indicò le chiavi e disse: «Vedo cose da Suv». Ossia: sei un riccone e ti lamenti! Ma l'altro, fulmineo: «Veramente, quelle sono le chiavi dell'antifurto». Gran risata in studio, alla quale, con invidiabile faccia di bronzo, si unì Gianfranco che qualsiasi brutta figura faccia, nulla riesce a mortificare.
Polillo è nato e vissuto a Roma, dove si è laureato in Economia con Federico Caffè. I suoi titoli accademici di economista finiscono qui. Un giorno del 1979 si vide passeggiare in Transatlantico un giovanottone dinoccolato, capelli scuri, baffoni neri e un vocione dall'inflessione romana. Era lo stesso Gianfranco, che oggi vediamo con i capelli bianchi e sbaffato, fresco vincitore del concorso per funzionario alla Camera. Gli fu affidata la commissione Industria e anche in seguito restò nel recinto delle commissioni economiche.
Si capì subito che si considerava superiore ai compiti affidati e che perciò li affrontava con la mano sinistra, finendo così per prendere qualche cantonata. Senza essere spocchioso, invidioso o carrierista era tuttavia convinto che nessuno capisse niente, salvo lui. «Stai ancora a da' retta ai giornali? Mo' t'o dico io come stanno le cose», e sdottorava col tono scanzonato di chi cuoce braciole al barbecue. Era politicamente caratterizzato. Iscritto al Pci, era responsabile della corrente romana dei «miglioristi», il cui leader era Giorgio Napolitano, e scriveva su Politica ed Economia, la rivista del Cespe, il Centro studi economici del partito. Trascorse così gli anni Ottanta, accumulando i diritti alla celestiale pensione di cui gode oggi. Quando nel 1992, Napolitano divenne presidente della Camera, Gianfranco pensò che lo avrebbe fatto capo della segreteria particolare. Chi meglio di lui che ne guidava la corrente? Ma Napolitano si consigliò con i compagni, Luciano Violante in primis, e la scelta cadde su un altro funzionario, neppure comunista, Maurizio Meschino, vicino alla Uil. Per Polillo fu lo schiaffo che gli cambiò la vita. Lasciò il Pci e si avvicinò a Craxi. Neanche il tempo di acclimatarsi che il Psi e il suo capo furono travolti da Tangentopoli. Fu così che il Nostro, al seguito dei socialisti che scelsero il centrodestra - Cicchitto, Caldoro, Brunetta, Tremonti, Sacconi ecc - entrò nell'orbita del Cav.
Gianfranco divenne un frenetico consigliere di ex socialisti. Il più consigliato è stato Fabrizio Cicchitto. Gli altri lo hanno preso a piccole dosi. Con il governo Berlusconi, 2001-2006, si fece spostare dalla Camera a Palazzo Chigi. Si offrì come suggeritore a Renato Brunetta che era il suggeritore del premier, poi passò nella segreteria di Giulio Tremonti, ministro dell'Economia, che però lo rispedì in breve a Palazzo Chigi. Fu nominato capo del Dipartimento economico della presidenza. Ne fece un pulpito da cui rovesciò proclami improvvisati sullo stato dell'universo. Ispirato dalla solita avventatezza, la fece grossa. Criticò i conteggi tremontiani della Finanziaria 2003, come se le cifre fossero truccate. C'era poco di vero, ma offrì il destro al vice presidente del Consiglio, Gianfry Fini, che detestava Tremonti, di chiederne la cacciata.

Il che avvenne. Fu il suo maggiore exploit.
Sul suo passato, resta da aggiungere che di recente da socialista è diventato vicesegretario repubblicano. Per quanto riguarda il futuro, non resta invece che incrociare le dita.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica