Pontefice nero o italiano: il Vaticano sceglierà tra novità e tradizione

Dopo le dimissioni di Benedetto XVI, annunciate ieri dal Santo Padre, si apre la corsa per la successione al Soglio di Pietro. Tra il 15 e il 20 marzo saranno riuniti in Conclave 117 cardinali

Pontefice nero o italiano: il Vaticano sceglierà tra novità e tradizione

Sarà italiano o straniero? E se la sede di Pietro non tornerà all'Italia, sarà la volta del primo Papa nero? O del primo Papa americano? Quale settore della chiesa esprimerà? Sarà conser­vatore o progressista? Quale priorità avrà, il prossimo Ponte­fice? La nuova evangelizzazio­ne e il secolarismo o la pedofilia del clero e i problemi dello Ior? La frontiera della bioetica e del­le nozze gay o il dramma della povertà in aumento e dei milio­ni di immigrati? Il calo delle vo­cazioni in Occidente, la fronda dei preti ribelli in Europa, o la crescita del cattolicesimo in Africa e Asia? Avrà un profilo più pastorale o più ideologico? Sono le domande che rimbalza­no in queste ore in Vaticano e in tutte le arcidiocesi del mondo. Domande a cui di fatto nessu­no è in grado di rispondere og­gi, compresi i 117 cardinali che tra il 15 e il 20 marzo, più proba­bilmente entro il 15, entreran­no in conclave.

A bocce ferme va detto che ci sono anzitutto i quattro «ratzin­geriani » fra i tanti papabili alla successione di Benedetto XVI. Cresciuti teologicamente assie­me a Ratzinger nella rivista «Communio » fondata da Hans Urs Von Balthasar, l'arcivesco­vo di Milano Angelo Scola, il ca­nadese prefetto dei Vescovi Marc Ouellet, l'ungherese arci­vescovo di Budapet Péter Erdo e l'austriaco arcivescovo di Vienna Christoph Schönborn sono quattro dei nomi in ordi­ne ( da Scola a Erdo) più accredi­tati per prendere voti. Portereb­bero al pontificato che si chiu­de il 28 febbraio continuità teo­logica e medesima identità di vedute con Benedetto XVI. Cer­to, il Papa non influenzerà il vo­to, ha fatto sapere padre Federi­co Lombardi ieri, ma è chiaro che questi quattro porporati es­sendo stati sempre valorizzati nel corso degli ultimi anni sa­ranno considerati con un oc­chio di riguardo dai cardinali elettori.

Fra gli italiani, c'è an­che l'outsider Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, allievo del cardinale Camillo Ruini e grande figura spirituale. Egli go­de di consenso sia fra i conserva­tori, che fra quelli di area più li­beral. Poi c'è il patriarca di Ve­nezia Francesco Muraglia, lea­der dei conservatori e del cosid­detto partito romano di curia. Ma fra gli italiani spiccano an­che i nomi del cardinale Mauro Piacenza, prefetto della congre­gazione per il Clero, del gover­natore del Vaticano Giuseppe Bertello, di Angelo Bagnasco ca­po dei vescovi e del «Papa ros­so », il prefetto di Propaganda fi­de Fernando Filoni. Tra gli spa­gnoli, invece, campioni negli anni di Zapatero di una fiera battaglia alle riforme «laiciste» del presidente del governo, il nome più significativo è proba­bilmente quello di Lluis Marti­nez Sistach, arcivescovo di Bar­cellona.

Allo scorso conclave con Rat­zinger «duellò»Jorge Mario Ber­goglio, arcivescovo di Buenos Aires. E non è escluso che an­che all'imminente conclave la fazione sudamericana non rie­sc­a a esprimere un propri candi­dato. Fra i ladinos due i nomi più spendibili: il brasiliano di origini tedesche Odilo Pedro Scherer, l'argentino Leonardo Sandri. Ma i nomi degli extra eu­ropei sono diversi. Fra questi spicca quello del religioso cap­puccino arcivescovo di Bostom Sean O'Malley, che a Boston ha risollevato una situazione resa assai drammatica non solo da­gli abusi sessuali commessi dai preti ma anche dagli insabbia­menti del suo predecessore Ber­nard Law. Nelle scorse settima­ne fra l'altro Benedetto XVI ha chiamato a Roma come promo­tor­e di giustizia della Congrega­zione per la Dottrina della Fe­de, competente per questi casi, proprio il «braccio destro» di O'Malley, padre Robert Oliver. Ma dagli Stati Uniti prende corpo anche l'ipotesi del cardi­nale Tomothy Dolan, capo del­la conferenza episcopale. Cari­smatico, amante dei media e dei social media, sarebbe una ventata di giovinezza ed ener­gia, quella forza nuova che lo stesso Benedetto XVI ha evoca­to ieri dichiarando la decisione di dimettersi. L'America latina, il subcontinente più cattolico del mondo, avrebbe anche le carte in regola per vedere un proprio rappresentante eletto come vicario di Cristo. Due bra­siliani, in particolare, sono mol­to citati in vista del prossimo conclave: Odilo Pedro Scherer, arcivescovo della megalopoli San Paolo, e Joao Braz de Aviz, focolarino alla guida, da non molti mesi, della congregazio­ne per i Religiosi. Da Cuba vie­ne Jaime Lucas Ortega y Alami­no, arcivescovo dell'Havana molto stimato in Vaticano per essere il protagonista che sta traghettando la Chiesa cubana verso il dopo-Castro.

Metà sud­americano e metà italiano (trentino per l'esattezza) è poi il cardinale Leonardo Sandri, una carriera nella diplomazia vaticana, uomo di peso nel pon­tificato di Wojtyla, oggi a capo della congregazione delle Chie­se orientali, che lo mette in con­tatto con molti episcopati asiati­ci.

Sarebbe una sorpresa, ma ne­anche tanto, che il prossimo Pa­pa provenisse da uno dei paesi emergenti. Tre i cardinali africa­ni «papabili», i curiali Peter Kodwo Appiah Turkson, ghane­se al­la testa del pontificio consi­glio Giustizia e pace, e il guinea­no Robert Sarah, a capo di «Cor Unum» , il salvadanaio vatica­no per le opere caritatevoli. É entrato in Conclave con l'ulti­mo concistoro di Ratzinger an­che l'arcivescovo nigeriano di John Olorunfemi Onaiyekan.

Con lui ha ricevuto la berretta cardinalizia un altro astro na­scente della chiesa cattolica mondiale, il filippino Luis Anto­nio Tagle, arcivescovo di Mani­la molto legato al Concilio vati­cano II. In Asia spicca poi il no­me di Oswald Gracias, arcive­scovo di Bombay. Dall'Austra­li­a poi entrerà in Conclave l'arci­vescovo di Sidney George Pell.

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