È un premio per i nostri sacrifici

La realtà è che per fare certe battaglie ci vogliono due cognomi così. È necessaria una lodevole coerenza, ad esempio. Dal momento che è sempre e solo la madre ad essere certa, non si vede per quale motivo non debba essere la madre a dare il proprio cognome al figlio, sgombrando il campo da improprie attribuzioni e da sgradevoli sorprese tardive. Mentre infatti gli uomini tendono (...)

(...) a raccontare anche quello che non hanno mai fatto, le donne sanno essere abilissime custodi perfino di ciò che hanno commesso cinque minuti prima. «Marchiandosi» da sole il proprio pargolo, eviterebbero quindi controverse questioni di paternità, in qualche caso ettolitri di bugie, condivisioni di responsabilità che tanto poi raramente vengono davvero suddivise e in qualche caso comunque impropriamente.
Un tempo anche noi la pensavamo in maniera diversa. Era quando eravamo sedute a cavalcioni della morale borghese, saturate da una vita intera di fiduciose opinioni. Pensavamo che ci fossero mamma e papà (che dovevano essere anche marito e moglie), un capo famiglia (che doveva essere appunto il marito), un cognome unico che raggruppasse tutti sotto lo stesso tetto, all'interno del medesimo censimento, dello stesso progetto, di un unico «nucleo». Poi però ci siamo trovate di fronte a imprecisati «compagni», a residenze spaiate, a ridde di cognomi e a tanti altri disordini difficilmente rigovernabili ai fini di tracciare orbite regolari attorno ai figli. Insomma, se ci siamo adattate a chiamare «famiglia» questo assemblaggio variopinto, pittoresco e zoppicante, non capiamo proprio per quale motivo non dovremmo almeno poterci mettere il cognome. Oggi che nostro figlio ha solo quello di suo padre ma la nostra stessa residenza, oggi che ha nonni e zii riconosciuti «per un pelo» dalla legge (fino a qualche mese fa per i figli come i nostri, cioè «fuori dal matrimonio» esisteva soltanto la parentela diretta con mamma e papà), oggi che in questo caos burocratico le generalità arrivano a caso, proprio come gli occhi azzurri piuttosto che marroni, per noi mamme appioppare il nostro cognome alla creatura significa ancorarsi, legarla a noi, spiegare al mondo che è anche nostra, visto che nostra di certo è.
Senza considerare l'opportunità estetica, cioè frivola, del tutto.

Visto che non pretendiamo di scalzare completamente l'identità paterna, ma ci limiteremmo semplicemente ad accostarla, la musicalità ne gioverebbe parecchio, come peraltro l'etichetta sul citofono e le iniziali sul portabavaglino all'asilo. Nel nostro caso, il connubio tra il nome del bimbetto e i due cognomi risulterebbe addirittura altisonante. Roba da entrare subito nel board della Bce. Ma se proprio dovesse andargli male...

di Valeria Braghieri

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