Quest'anno nato nel segno dell'antipolitica celebra un compleanno speciale della politica. È infatti l'anno in cui vide la luce, cinquecento anni fa, Il Principe, anzi l'unico principe italiano che abbia conquistato il mondo. Dico Il Principe di Niccolò Machiavelli, l'opera politica più grande e più letta nel mondo e negli Usa, amata da Mao Tse Tung, esaltata da Gramsci e Mussolini, che ne curò il preludio (altre due prefazioni scrissero poi Craxi e Berlusconi). Di quel capolavoro e del suo geniale autore si sono scritte le peggiori cose; ma lui descriveva, non prescriveva, la cinica ragion di Stato. Faceva i conti con la natura umana, senza illusioni. Sapeva, come Sant'Agostino, che non si nasce buoni e pii ma egoisti e crudelucci e poi, magari col tempo e l'educazione, si può diventare meno cattivi.
Di quell'opera vorrei ricordare solo un particolare. Fu dedicata al Principe del tempo, un Lorenzo de' Medici, da non confondersi col Magnifico. E fu donata da Messer Niccolò a lui, insieme con due cani da caccia. Si racconta che il sovrano abbia apprezzato solo i cani da caccia. Oggi li avrebbe messi nella lista bloccata. Dopo cinquecento anni le cose non sono cambiate.
I principi non leggono, non capiscono i capolavori e non accettano saggi consigli, preferiscono i cani fedeli e i servili adulatori. L'unica consolazione è che mezzo millennio dopo non ricordiamo nulla di quel principe né dei suoi segugi, ma celebriamo l'opera di Machiavelli. Alla lunga, l'intelligenza vince sul potere e le idee oscurano i latrati.
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