Preso atto con rassegnazione, e un fitto dolore di ventre, che al di là dei contenuti espressi - sempre discutibili - Silvio Berlusconi giovedì scorso ha dominato la scena nel capannone-studio televisivo di Servizio pubblico, i suoi detrattori ne minimizzano il successo attribuendolo a un uso eccessivo di populismo. Vocabolo, questo, talmente di moda (sostitutivo di qualunquismo, ormai dismesso) da essere il più frequente negli articoli della Repubblica.
L'accusa di populismo viene rivolta non soltanto al Cavaliere, ma anche a Michele Santoro. Insomma, è tutto un populismo dilagante che, stando ai commentatori di punta, determinerà l'esito delle elezioni. Come fosse una scoperta che qualsiasi campagna elettorale trascuri le questioni tecniche, economiche e politiche, basandosi quasi esclusivamente sul lato sportivo. I confronti tra candidati, oggi quanto ieri, sono match: vincono i picchiatori, gli spiritosi, gli svelti di riflessi, i paraculi.
Su questo terreno il leader del Pdl è imbattibile. E pensare che l'impianto della trasmissione santoriana era simile a quello di un processo: mancavano giusto le toghe, ma il resto c'era tutto. C'erano alcune ragazze pm con il compito di lavorare ai fianchi l'imputato; il procuratore generale, Marco Travaglio, uno che sa il fatto suo, incaricato di rifilargli la stoccata decisiva; Santoro nel ruolo di presidente del tribunale. La fortuna del reo è stata di non avere un avvocato difensore e di essersi quindi dovuto arrangiare da sé. Si è arrangiato benissimo. Anzi, il fatto di essere solo contro tutti lo ha esaltato, gasato, eccitato. Cosicché ha recuperato la carica per non soccombere e, al momento opportuno, la lucidità per colpire, come si dice, in «contropiede», ottenendo l'assoluzione dai giudici supremi: i telespettatori. Ovvio, non è stato un vero e proprio processo politico né una tribuna elettorale, ma un torneo. E nei tornei, inclusi quelli mediatici, prevale - ripeto - il personaggio più accorto, astuto, rapido.
Chi si stupisce, chi si rammarica per l'esiguo spessore culturale della serata, chi si deprime per la vittoria di Berlusconi è un ingenuo e un disinformato: l'uomo davanti alle telecamere è un mattatore dai tempi che furono. Non avere valutato questo dato certo è imperdonabile. Come lo è avere pensato che il berlusconismo fosse tramontato perché nell'ultimo anno brillava sui giornali l'astro morente di Mario Monti. Figuriamoci. Il 50 per cento degli italiani non erano, non sono e non saranno mai di sinistra. Se offri loro un tetto di centrodestra, lo accettano con sollievo.
Fino a giovedì erano persuasi che il tetto Berlusconi fosse crollato; quando invece hanno constatato che era ancora intatto, sono corsi lì sotto a ripararsi. Ciò non significa che il Pdl sgominerà alle urne il Pd, quanto piuttosto che Pier Luigi Bersani, se vorrà entrare a Palazzo Chigi, dovrà sudare sette camicie, e forse non basterà. Le gioiose macchine da guerra esistono soltanto nella fantasia dei progressisti. Gli anticomunisti non si definiscono più anticomunisti, ma ci sono ancora, in carne e ossa, e avendo identificato in Berlusconi un vivo e non un morto gli andranno appresso sino al seggio.
Se tutti i potenziali berluscones risponderanno alla chiamata, per i progressisti saranno guai. L'esordio in campagna elettorale del vecchio leader Pdl è stato eccellente. Ma chi bene incomincia non è a metà dell'opera: è appena all'inizio. Ora l'ex premier dovrà stare attento a non commettere i soliti errori (per debolezza e/o generosità) nella compilazione delle liste. La scelta dei candidati è un'attività delicata: conviene non abbandonarsi alla seduzione della gnocca o alle coccole degli adulatori o dei signorsì. Qui, caro Silvio, serve uno sforzo per resistere a tentazioni molto umane, ma anche molto pericolose, come già ha sperimentato in un recente passato. L'occhio vuole la sua parte, d'accordo, ma non c'è mica solo l'occhio: il cervello, tanto per dire, ha le sue pretese.
Poi c'è il programma. Inutile scrivere il libro dei sogni senza precisare con quali risorse realizzarli. Lei, presidente, dice: abolisco l'Imu sulla prima casa e sostituisco il minore gettito tassando gli alcolici e i tabacchi. La prego: in questo caso non sarei rovinato solamente io, ma anche i produttori di vino (che in Italia sono autentiche colonne) e i Monopoli. Bisogna che il testo programmatico da esibire agli elettori sia breve e comprensibile: più numeri che parole, altrimenti sembrerà la consueta buffonata acchiappavoti. Non ci casca più nessuno.
Infine, avere trionfato a Servizio pubblico e riguadagnato consensi non è sufficiente. È necessario che lei si misuri in un faccia a faccia sia con Bersani sia con Monti. Due belle puntatone televisive, di un'ora e mezzo ciascuna, durante le quali si gioca il tutto per tutto. Vedo già la scena, assai solleticante. Il bocconiano che tiene una lezione per dimostrare che salvare l'Italia impoverendo gli italiani è una buona azione; lei che sciorina una serie di facezie per inchiodarlo al ridicolo e che propone due o tre cose urgenti da fare per sfamare gli affamati, la quale non è un'idea nuova, ma nemmeno peregrina. Bersani che si arrampica sui proverbi piacentini per sostenere che le tasse educano il popolo a perseguire il bene comune (dei tedeschi); lei che replica proponendo di detassare l'assunzione dei giovani per incentivare l'occupazione. Roba semplice che, però, non può rimanere lettera morta.
Per convincere è indispensabile essere convinti. Lei lo è? Se sì, vada avanti a testa bassa.
di Vittorio Feltri
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