Politica

Quel fantasma del caso Moro che incombe su Prodi al Colle

Spunta il carteggio del 1981 tra la commissione d'inchiesta e il Prof sulla seduta spiritica da cui trapelò "Gradoli". L'ex premier fu evasivo, ecco tutto quello che non convince

Quel fantasma del caso Moro che incombe su Prodi al Colle

Palazzo del Quirinale, angolo via Gradoli. La strada che conduce Romano Prodi al Colle incrocia ancora una volta il mistero buffo della famosa seduta spiritica del Professore da dove uscì l'indicazione della via (Gradoli) del covo romano delle Br con Aldo Moro sequestrato. Ciclicamente se ne riparla, di questa farsa medianica che avrebbe potuto salvare l'ex presidente Dc. Nessuno ha mai creduto fino in fondo alle versioni di Prodi e degli amici di seduta presi per mano dagli spiriti di La Pira e don Sturzo eppoi condotti con un piattino a formare le lettere G-r-a-d-o-l-i. Se nessuno crede alla soffiata dall'aldilà, è anche perché l'aspirante successore di Napolitano non è che abbia poi collaborato tanto. E così, a 35 anni dall'agguato in via Fani, escono nuovi dettagli di quell'esperienza soprannaturale che avrebbe potuto cambiare la storia d'Italia se solo il Professore l'avesse raccontata tutta. «In data 2 aprile 1978 in località Zappolino, sita in provincia di Bologna, fummo invitati dal professor Clò a trascorrere una giornata nella sua casa di campagna, insieme alle nostre famiglie – scrive nel 1981 Prodi (insieme ai presenti alla seduta) alla commissione d'inchiesta sulla strage di via Fani nel carteggio recuperato dal sito affaritaliani.it - Nel pomeriggio, dopo aver pranzato, e a causa del sopravvenuto maltempo, lo stesso Clò suggerì di fare il gioco del piattino (su cui tutti i presenti poggiano il dito dopo aver evocato uno spirito guida sottoponendogli alcune domande)». A qualcuno viene in mente di chiedere dove si trova la prigione di Moro. Insieme ad altre indicazioni, spunta il nome Gradoli. Località che «risultava tuttavia a noi ignota... da un successivo riscontro su una cartina geografica, individuammo la effettiva esistenza di tale località proprio nei pressi di Viterbo». Come va a finire è scritto nei libri di storia e nelle pagine delle commissioni di inchiesta. Prodi, dopo aver tentato di spedire il criminologo Augusto Balloni dai magistrati con quest'informazione, chiedendo di non essere citato, due giorni dopo la scampagnata (4 aprile 1978) gira la notizia a Umberto Cavina, portavoce del segretario della Dc, Benigno Zaccagnini. Che, a sua volta, la inoltra a Cossiga, ministro dell'Interno. Prodi non rivela allora, e non lo farà nei successivi tre decenni, la fonte di quella delazione. In «Via Gradoli», e non a «Gradoli vicino Viterbo» infatti, vivevano i carcerieri di Moro, Mario Moretti e Barbara Balzerani. Il covo sarà scoperto solo il 18 aprile a causa di una sospetta infiltrazione d'acqua che allerterà i vicini, tra i quali Lucia Mokbel, che racconterà ai magistrati di uno strano ticchettio notturno, simile a segnali morse, provenire dalla tana dei bierre. Al Viminale (dove nel frattempo è arrivata un'altra segnalazione su Gradoli) pensano bene di perlustrare l'omonimo paesino in provincia di Viterbo invece di aprire lo stradario, come inutilmente suggerito pure dalla moglie del presidente della Dc, Eleonora Moro, a cui viene risposto che non esiste alcuna via Gradoli a Roma. Falso. Via Gradoli è una traversa di via Cassia, la strada che si trova esattamente sulla “strada per Viterbo”. La messinscena è palese, come denunciano sia il Ds Giovanni Pellegrino sia l'ex Dc Giovanni Galloni. Per Andreotti «lo spiritismo è una invenzione per coprire una fonte dell'Autonomia». L'ex presidente della commissione Mitrokhin, Paolo Guzzanti, incalzò il Professore: «Non solo mentì sulla fonte dell'informazione ma volle personalmente trasmettere alla segreteria della Dc e non alle autorità competenti, provocando un'operazione di polizia nell'Alto Lazio. Questa notizia permise ai brigatisti nel covo di via Gradoli di eclissarsi. È evidente che uno solo dei partecipanti alla danza del piattino da caffè fra le lettere dell'alfabeto, possedeva fin dall'inizio l'informazione e manovrò per farla apparire opera di un piattino che si comportava come un computer azionato dai fantasmi di don Sturzo e La Pira». Ma da dov'è arrivata la dritta? Francesco Cossiga individuerà la fonte negli ambienti dell'eversione bolognese, città in cui Prodi è docente di Economia, parlando di un «professore universitario» forse in contatto con le Br.
Un'altra tesi, rimasta tale, è che i servizi segreti russi del Kgb avrebbero fatto filtrare la notizia su via Gradoli per averla appresa da un loro agente sotto copertura in Italia, tale Giorgio Conforto, nome in codice Dario, amico dell'affittuaria dell'appartamento di via Gradoli, padre di quella Giuliana Conforto nel cui appartamento vennero arrestati Morucci e Faranda. Solo una volta Prodi si è seduto davanti a una commissione per riferire della seduta spiritica e di questa Gradoli («visto che nessuno ne sapeva niente ho ritenuto mio dovere, anche a costo di sembrare ridicolo, di riferire la cosa»). Da allora, non ha più risposto ai numerosi inviti a chiarire. Lo hanno fatto, invece, altri due collaboratori del Prof presenti: Mario Baldassarri e Alberto Clò. Il «piattino» di Prodi, per Baldassarri, diventa un «bicchierino» («prima che arrivassi avevano chiamato La Pira. Il gioco funziona che uno mette il piattino e chiama un personaggio»), che si trasforma in un «piattino da caffè» nella versione di Clò. Per Fabio Gobbo, allievo di Prodi, si trattava invece di un «posacenere». E se Prodi ricorda che quel giorno «pioveva», e Baldassarri parla di «giornata uggiosa», il giornalista Antonio Selvatici dimostrò - carte del servizio idrografico alla mano - che a Zappolino quel pomeriggio non cadde una goccia. Dopo anni di silenzi fregnacce ultraterrene, i fantasmi di La Pira e di don Sturzo potrebbero essere invocati nuovamente da Prodi per capire chi andrà al «Colle».

Inteso come Colle Quirinale, non Colle Val D'Elsa, Colle Brianza, Colle d'Anchise (Campobasso) o Gioia del Colle.

Commenti