Quel fuggi fuggi è uno sputo a tutti i partiti

Il partito più forte in Sicilia è quello dell'astensione. Un record in Italia: oltre il 50 per cento. Se teniamo conto soltanto di coloro che si sono degnati di recarsi al seggio, allora è Beppe Grillo a piazzarsi in vetta alla classifica. Una prodezza, la sua. Egli infatti è arrivato a nuoto nell'isola circa tre settimane fa, e in una ventina di giorni ha conquistato un posto al sole, che poi è una stella e si aggiunge alle cinque già presenti sul simbolo del movimento fondato dal comico. Che adesso non fa più ridere, ma semina il panico tra i professionisti della politica straccia.
L'affermazione sicula prelude al trionfo che Grillo avrà alle consultazioni nazionali della prossima primavera. Se ieri ha ottenuto con la lista intorno al 15 per cento, l'anno venturo incasserà minimo il 20. Un dato del genere, del tutto probabile, sarà il certificato di morte dei partiti tradizionali di destra e di sinistra e di centro, estinti causa suicidio. Essi, infatti, nonostante la crisi propria, la crisi internazionale e la crisi istituzionale del nostro Paese, invece di riorganizzarsi e dedicarsi con tenacia alla soluzione dei problemi della gente, si sono intorcinati badando solamente a interessi di bottega: la spartizione del potere e la conservazione della poltrona con privilegi annessi e connessi.
Partiti talmente sfilacciati e inconcludenti al punto da essere costretti, un anno fa, a cedere il timone ai tecnici per manifesta inadeguatezza. E ora pagano dazio. Il Pd, nonostante se la tiri tanto, in Sicilia arranca: ha raccolto la miseria del 13 e rotti per cento, benché, con la coalizione di sinistra, si sia aggiudicato, grazie a Rosario Crocetta, il trono di governatore. Il quale governatore, tuttavia, faticherà (forse invano) ad avere in Consiglio regionale una maggioranza che gli consenta (...)

(...) di governare, visto che il Parlamento sarà occupato da uno spezzatino politico disomogeneo. In queste condizioni, raggiungere un accordo e stabilire alleanze durature, almeno sulla carta, è impossibile.
Occorre registrare la disfatta del Pdl: 12,4 per cento (il dato si riferisce a 4.292 sezioni su 5.308). Il candidato Nello Musumeci, pur intorno al 25 per cento, si è beccato 6 punti in meno dell'avversario Crocetta, sostenuto anche dall'Udc. Qualcuno dice che Angelino Alfano abbia commesso l'errore di sganciare Gianfranco Miccichè, perdendo così un bel po' di consensi. Se è per questo, al Pdl sono mancati anche i voti del Fli (4 per cento). Ma qui il segretario pidiellino non c'entra. Bisogna fra l'altro riconoscere che quando egli ha ereditato lo scettro di Silvio Berlusconi, il partito era già in tocchi, e attendersi il miracolo di un ricompattamento era illusorio.
La realtà va guardata in faccia, e fa paura: nel giro di qualche annetto il centrodestra, per vari e noti motivi, ha dissipato un patrimonio che sembrava indistruttibile. Un'analisi del fallimento richiederebbe una spietatezza che non è il momento di sfoderare. Limitiamoci a riferire le cifre del grave dissesto e auguriamoci che colonnelli e caporali berlusconiani (ex Forza Italia ed ex An) la smettano di litigare e si impegnino a ricucire strappi e smagliature, altrimenti il Pdl andrà (metaforicamente, stavolta) a puttane.
Con una sintesi brutale, le elezioni siciliane si commentano in poche parole. Tra astensioni (53 per cento), schede bianche (4 per cento) e voti assegnati al candidato di Grillo (18 per cento), l'antipolitica arriva al 76 per cento. Chi ha tracciato la croce sul simbolo del Movimento 5 stelle ha inteso sputare sui partiti, chi si è addirittura rifiutato di entrare in cabina non ha più voglia neppure di sputare: risparmia anche la saliva. Non è una bella immagine, ma è quella della politica, oggi.

segue a pagina 3

di Vittorio Feltri

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