Q ualche anno fa un'alluvione del Po minacciò le città e i paesi in prossimità del fiume. I miei genitori abitano a Ro, in una casa non lontana dall'argine che poteva d'improvviso rompere. Volevo capire bene il rischio e ottenni, per gentilezza di un amico, l'uso di un elicottero per meglio capire la situazione. Partimmo la mattina da Como e il viaggio fu lungo e luminoso, fino al delta del Po, a Comacchio. Da Como a Comacchio. Un insolito percorso. E fu soltanto allora che vedendo le tanto amate città padane dall'alto - Parma, Bologna, Ferrara - mi resi conto che la più bella era Mantova. Era meglio conservata rispetto allo sconvolgimento delle nuove aree urbane, Crema.
Naturalmente, che Mantova sia bella lo si capisce anche da terra, con i muri caldi di mattone che ti accompagnano lungo le strade. In questo Mantova somiglia alla mia Ferrara ed è come lei città del silenzio, popolata di fantasmi.
Colpisce che il suo toponimo sia lo stesso in lingua latina e in dialetto lombardo: sempre Mantua è. Quella reclamata da Virgilio come sua città natale. Tanto che ora il luogo preciso della nascita del poeta è un comune che porta il suo nome, orgogliosamente esibito da un minore artista che vi nacque: Ugo Celada da Virgilio, un realista intimista che meriterebbe di essere affiancato a Casorati, a Cagnaccio di San Pietro, a Sciltian, artisti oggi celebrati nella mostra sul Novecento fascista appena aperta a Forlì per dar ragione delle esternazioni di Berlusconi sul buono prodotto (certamente in pittura, scultura e architettura) durante il Fascismo.
In proposito si è aperto in questi giorni il dibattito su quello che io da anni ho clamorosamente denunciato: la totale indifferenza per il patrimonio artistico nei programmi dei partiti e dei leader che si presentano alle elezioni. Forse soltanto la Lega, con la tutela del patrimonio linguistico e delle tradizioni, e Carlo Petrini con Slow Food, hanno rappresentato, negli ultimi vent'anni, una diversa posizione. Ma i leghisti hanno trascurato che la loro invenzione della Padania, in chiave prevalentemente produttiva ed economica, aveva un precedente nella definizione di un'area culturale di straordinarie tradizioni artistiche e letterarie nella Padanìa, così dominata dal grande critico d'arte Roberto Longhi.
L'Italia non è soltanto Roma, Firenze, Venezia, ma Mantova, Parma, Ferrara, Bergamo, Cremona. E con Mantova vorrei iniziare un itinerario di città, il cui patrimonio è l'essenza stessa della nostra economia, quella su cui vincono, per l'appunto, Venezia e Roma. La densità ed integrità del patrimonio artistico mantovano è garantita anche dalla sua posizione. La città non è difesa da mura, ma dall'acqua, con il fiume Mincio che si articola in quattro laghi: Superiore, Di Mezzo, Inferiore e Paiolo, con ciò rendendo il centro storico un'isola. Assestamenti del territorio e inondazioni ne mutarono l'assetto in quello di una penisola con il prosciugamento del lago Paiolo. Nondimeno, ancora oggi, Mantova sembra nascere dall'acqua, e il profilo degli edifici, medievali e rinascimentali, galleggiare come in una visione onirica, e perfino una visione d'Oriente se sul lago Superiore vediamo oggi fiori di loto.
Io ho attraversato i laghi di Mantova tra le canne, al tramonto e nella notte, venendo dall'Eremo delle Grazie. Quando si entra a Mantova, infatti, i laghi restano alle spalle. La città ci si offre subito con il suo monumento più prezioso, il Castello di San Giorgio annesso al Palazzo Ducale, dominante, con il Duomo, su Piazza Sorbello. Arrivati qui la città ti abbraccia, esce dal sogno, e si manifesta con una sequenza impressionante di edifici straordinari.
La cattedrale è un palinsesto di forme romaniche, gotiche, rinascimentali, fino agli interventi di Giulio Romano e della facciata Settecentesca. Ma è soltanto l'annuncio della più importante architettura del Rinascimento in Italia, poco lontano, oltrepassata la rotonda di San Lorenzo, singolare costruzione a pianta circolare dell'XI secolo: la Basilica di Sant'Andrea. Si tratta del più importante monumento moderno (intendo rinascimentale, insieme al tempio malatestiano di Rimini) ispirato al mondo classico. Leon attista Alberti, l'architetto, pensò alla grandiosa facciata come a un arco romano, e sviluppò un'apertura centrale alta e profonda. Improvvisamente Roma si materializzò a Mantova. E negli stessi anni in cui il più grande pittore padano, Andrea Mantegna, nato a Isola di Carturo, vicino a Cittadella, concepiva la sua Camera degli sposi nel castello che abbiamo lasciato alle spalle ma in cui, dopo aver salutato il pittore, nella sua cappella in Sant'Andrea, torniamo per assistere alla più compiuta rappresentazione del potere dopo i mosaici bizantini di San Vitale a Ravenna.
Mantegna ritrae i Gonzaga nella camera dedicata a Ludovico Gonzaga e a sua moglie Barbara di Brandeburgo, con una sfilata di cortigiani che non ha eguale. Neppure Raffaello e Tiziano ci metteranno davanti a volti nei quali la cupidigia e l'astuzia, la furbizia e l'ossequio, il calcolo e il compiacimento, la consuetudine all'obbedienza, appariranno stampati sui volti di uomini e donne, di dignitari, di letterati, di bambini, di nani e di servi, come in questo dipinto in cui si illustra l'eterna manifestazione del potere. E anche quando dalle chiuse stanze del Palazzo si passerà agli esterni con la veduta di una città lontana, en plein air, quella città sarà sempre Roma, per una incontenibile vocazione della città di Virgilio. Virgilio, Sant'Andrea, Mantegna, e quando dal centro, sfiorata l'olimpica casa di Mantegna ci si sposta verso l'altro polo della città monumentale, Palazzo Te, ancora una volta le forme dell'architettura e gli affreschi di Giulio Romano, riporteranno a un altro momento della città eterna: quello dell'impresa di Raffaello nelle stanze vaticane. Lì ci riconduce, nella nebbia di Mantova, Giulio Romano continuando a confondere realtà e sogno.
Nello stesso clima ci aveva portato un altro nostalgico del mondo classico, la Sala dello Zodiaco nell'area del Palazzo d'Arco. Qui Giovanni Maria Falconetto, pittore e architetto, aveva mostrato tutta la nostalgia per i monumenti romani, in affreschi di perfino didascalica evidenza.
(1.continua)
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