Roma - Nel mondo sottosopra del dopo-voto, l'Italia siede a capotavola dell'Unione europea e ieri a Bruxelles tutti pendevano dalle labbra del suo premier, sbarcato al Justus Lipsius per partecipare al vertice informale tra leader di ieri sera che ha aperto la trattativa sul giro di nomine Ue. Un vertice al quale il capo del governo italiano era l'unico uscito non vincitore, ma addirittura trionfante dalle urne: primo partito nel gruppo Pse, secondo nel Parlamento europeo dopo Cdu-Csu.
Sorridente, e con faccia da pokerista, Matteo Renzi ha subito messo una zeppa negli ingranaggi ripetendo serafico quel che aveva già detto a Roma, e cioè che «i nomi vengono dopo rispetto all'accordo sulle cose da fare. Prima vengono le cose da fare, gli argomenti su cui trovare un equilibro, poi i nomi».
L'Italia, insomma, non darà via libera né a Jean Claude Junker né ad altri candidati senza contropartite precise, e vuole usare il suo rafforzato peso contrattuale sulle nomine per condizionare le scelte politiche ed economiche dell'Unione, e di Angela Merkel in particolare. La sfida - amichevole ma da pari a pari - alla Cancelliera è esplicita: «La domanda di cambiamento è uscita chiara dalle urne, e la convinzione che è il momento di cambiare è molto forte in tutte le istituzioni europee», risponde Renzi a chi gli domandava se la politica della Merkel cambierà. Insomma non basta tentare di nominare un italiano al vertice delle istituzioni Ue (ipotesi «ragionevole», afferma il premier italiano) ma bisogna correggere la politica di rigore, consentendo ad esempio di tener fuori gli investimenti dal patto di stabilità e aprendo così la strada a «un'operazione keynesiana straordinaria da più di 150 miliardi in 5 anni» per opere pubbliche e politica industriale. E in casa tedesca Renzi trova il supporto di Martin Schultz, candidato socialista (e quindi uscito sconfitto dal voto) per la presidenza della Commissione: «Il Pd ha un forte ancoraggio pro-europeo, ma anche il coraggio di chiedere un cambiamento di rotta», dice.
Sul fronte nomine si gioca anche una partita tutta italiana: in ballo, oltre alla nuova Commissione, ci sono la presidenza del Parlamento, il rappresentante della politica estera e il presidente dell'Eurogruppo. Renzi gioca da una posizione di forza, ma l'Italia ha già Draghi al vertice della Bce, e dunque non può pretendere più di tanto. Gli aspiranti non mancano: Massimo D'Alema, Enrico Letta (molto accreditato negli ultimi giorni), Gianni Pittella che sta smuovendo mari e monti per fare il presidente del Parlamento, Pier Carlo Padoan che secondo alcune voci Renzi vorrebbe alla testa dell'Eurogruppo. La partita è appena cominciata, e Renzi ha intenzione di giocarla a tutto campo e «puntando in alto».
Ne ha parlato ieri mattina, prima di partire, con un capo dello Stato estremamente soddisfatto per gli esiti del voto, che possono accelerare anche il percorso delle riforme. Sulla riforma del Senato, domani arriveranno gli emendamenti e dalla settimana prossima si inizierà a votare. Dopo la vittoria il governo si mostrerà molto disponibile alla trattativa con le opposizioni, Forza Italia in testa, per chiudere in fretta e su un testo solido.
Il 10 giugno è la dead line che Palazzo Chigi vorrebbe venisse rispettata, per iniziare il semestre di presidenza europea con un risultato tangibile. Poi si passerà all'Italicum, che Renzi vuole incassare prima delle vacanze estive.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.