La rivincita della penna: scrivere a mano è di moda

La natura umana è fatta così, le dai una cosa e cerca subito l'opposto. Hai voglia a inventare tastiere super-sensibili, virtuali, proiettate col laser, senza fili, retroilluminate per non dar fastidio al tuo vicino durante i voli transcontinentali, e con i simboli e gli alfabeti più strambi subito lì, a portata di dito. Niente da fare. Meglio carta e calamaio.
Qualche mese fa persino Google è tornata allo stilo, se non addirittura al dito: quello con cui è possibile scrivere parole sugli schermi touch di smartphone e tablet. Il programma «Handwrite» converte i segni in testo, riconoscendo la grafia in ben ventisette lingue, e suggerisce la ricerca più pertinente. Segnale piuttosto forte.
«La scrittura a mano sta tornando in auge - ci dice Francesca Biasetton, presidente dell'Aci, l'Associazione calligrafica italiana, fondata 20 anni fa - e i nostri 35 e più corsi annuali, dall'italico al corsivo inglese, sono pieni. Ai calligrafi professionisti il lavoro non manca, c'è un forte mercato delle commissioni: diplomi scritti a mano, buste, logotipi, lettere, per non parlare delle headlines per il settore pubblicitario e di chi vuole insegnare. Ma arrivare a tutto questo è come con il pianoforte: ci vuole tantissima pratica».
Tenere corsi di scrittura manuale è un comunque un business. Ce ne sono di tutti i tipi: per esempio il calligrafo James Clough ha accompagnato un gruppo di milanesi in un tour di «biciclettering» alla scoperta/studio, sui pedali, delle iscrizioni metropolitane; durante i weekend lunghi d'autunno, invece, si tengono corsi residenziali, spesso in città termali, con celebri maestri come Thomas Ingmire (il costo arriva ai 300 euro), oppure visite alla sezione manoscritti di biblioteche come la Trivulziana o l'Archivio di Stato a Milano.
E la scrittura manuale non è mai scomparsa neppure dalla scuola, altro che iPad in classe. «Diciamo si fa strada - ci dice Nerina Vretenar, insegnante e autrice di In punta di penna, edizioni Junior - una nuova consapevolezza dell'importanza del segno a mano. Poiché, senza volerlo contrapporre alla scrittura digitalizzata, permette di “accompagnare” il pensiero, la rappresentazione di sé. E dona profondità, per esempio, alla comunicazione tramite lettere. Per finire: scrivere a mano è un piacere sensuale, dello stesso tipo che accompagna le primissime manifestazioni grafiche dei bambini».
A questo aspetto Anna Ronchi, fondatrice dell'Aci, si è interessata parecchio, fino a farne una posizione, si direbbe, politica in senso nobile: l'Associazione, infatti, è attiva a Milano e Genova con corsi intitolati «La calligrafia torna a scuola», strutturati in cinque incontri, coadiuvati da psicologi e optometristi, per imparare postura corretta, prensione sulla penna, sequenza dei tratti. «Il corsivo è stato negli anni scavalcato dallo stampatello - ci spiega Biasetton - ed è un male: nel corsivo non ci sono stacchi di penna, si coltiva la fluidità, non la separazione. È un altro modo di misurare il mondo e la vita».
Non bisogna trascurare, infatti, la dimensione psicologica della scrittura manuale: «Ricordo quel film di Greenaway, I racconti del cuscino, del 1996 - ci dice Pietro Pastena, grafologo e autore di Un dialetto dell'inconscio. Linguaggio scritto, grafologia, psicanalisi, edizioni Bonanno - La protagonista, Nagiko, figlia di un calligrafo e amante di calligrafi che usano il suo corpo come un foglio di carta, alla fine si domanda, incerta: devo scegliere il miglior calligrafo o il miglior amante? Difficile che la scrittura alla tastiera possa generare simili domande. Penna e inchiostro sono un percorso del corpo e dell'anima. In Medio oriente e in Giappone la scrittura manuale è una funzione culturale centrale e unitaria, direi ecumenica, in alcuni casi erotica. Ne parlava già Groddeck, dando contro al maestro Freud, che invece non andava d'accordo coi grafologi. Ho il sospetto competessero sullo stesso terreno: il mistero dell'anima».


Mistero frequentato da molti scrittori di peso o meno che di schermo e tastiera non vogliono sentir parlare: Guido Ceronetti, ma ancor di più Peter Handke - di cui alla Buchmesse del 2001 l'editore Suhrkamp espose i mille fogli manoscritti di La perdita delle immagini. Attraversando la Sierra de Gredos (altro capolavoro dello scrittore carinziano) sotto una teca di cristallo - o Amélie Nothomb. Per non riandare a Nabokov: la sempreverde Lolita è stata scritta con antiche matite.

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