Roma - Strega, Rasputin, corvo nero, badante, asciugabava del Capo, traditrice, mantide mangiauomini, spazzatura da rimuovere a colpi di scopa, Giuda, terrona. Anzi, più che terrona, africana: com’era quella storia della nonna tunisina?
Il day after di «Rosi la dura» è amaro come tutti i giorni dopo. «Mi hanno colpito nella sfera personale, ho ricevuto colpi bassi da gente che credevo vicina ». E adesso? «Ho cinquant’anni non intendo gettare nel secchio una vita di lavoro senza lottare. L’espulsione? Facciano, non ho niente da temere, non ho preso un euro e lo proverò. Il Senato? Non sto resistendo, sto valutando cosa fare. Voglio difendermi in aula». Se ci riuscirà. La Mauro infatti ancora non si è dimessa, forse non lo farà, ma di fatto già le hanno sfilato la poltrona da sotto il sedere.
Ieri mattina al Senato toccava a lei guidare la seduta. Era di turno a mezzogiorno, dopo Vannino Chiti,così almeno era previsto dall’agenda della presidenza, invece ecco Renato Schifani materializzarsi sullo scranno più alto dell’aula. Questioni di «opportunità», che poi vengono formalizzate dalla riunione pomeridiana dei capigruppo. Viene deciso, annuncia Anna Finocchiaro, che Schifani presiederà «fin quando ci sarà la necessità di salvaguardare il decoro del Senato ». Si vogliono evitare lazzi e contestazioni nella Camera alta.
Qualcuno però pretende che il caso-Mauro diventi argomento di discussione in aula. Pd e Lega chiedono formalmente le dimissioni del vicepresidente, domanda che, come è avvenuto per Gianfranco Fini, a termini di regolamento non può essere accolta. Spiega Maurizio Gasparri: «Un dibattito sarebbe inopportuno, anzi assurdo. Non ci sono precedenti. Gli incarichi istituzionali o si mantengono o si lasciano per volontà di chi li ricopre». Insomma, deciderà lei. «Anche perché - aggiunge il capogruppo del Pdl- la vicenda è ancora tutta da chiarire, molte delle circostanze appaiono diverse da come erano state prospettate dai media. Pure nel suo partito c’è una certa discussione, ci sono dubbi».
I dubbi sono sul profilo penale e sulla sostanza delle accuse.L’altra sera a Porta a Porta ha vinto la gara dello share . Si è difesa davanti a cinque milioni di teleutenti, ottenendo il 17 per cento di ascolto, ma soprattutto ha buttato sul tavolo una serie di elementi nuovi, che i magistrati dovranno verificare. Dalla Nera, «che non sono io, ma l’infermiera svizzera di Bossi » a cui pagare gli arretrati, al poliziotto-cantante Pier Moscagiuro, «che non è il mio amante, che nefandezza, è il mio caposcorta». Per finire ai soldi: «Non erano per me, erano finanziamenti del partito al sindacato. Lo sapevano tutti, pure Umberto. I movimenti sono rintracciabili sui conti». Ce n’è abbastanza perché il senatore Giovanni Torri sostenga che la partita è ancora aperta. «Non so come finirà, però in troppi festeggiano prima del tempo. Nel partito devono calmarsi, hanno contato fino a 85 e non fino a cento ». Rosi la dura chiude la giornata un po’ meno sola di quando l’ha cominciata. Arrivano infatti solidarietà varie e bipartite. Pierluigi Mantini, Udc: «È diventata l’agnello sacrificale, ma tra lei è Maroni non c’è differenza».
Paola Concia, Pd: «I
capetti leghisti misogini sono assetati di sangue». Margherita Boniver: «Sento accenti maschilisti». Flavia Perina, Fli: «Vogliano bruciarla sul rogo come le fattucchiere di Salem per purificare la comunità leghista».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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