"Sa evacuare una città?" I colloqui-incubo per lavorare da Google

Ogni anno arrivano un milione di curriculum. E l'azienda è dieci volte più selettiva di Harvard

"Sa evacuare una città?" I colloqui-incubo per lavorare da Google

Negli anni '80 bisognava lavorare a Wall Street o almeno in banca, nei '90 non c'era altro posto che Microsoft, sempre in cima alle classifiche della qualità dell'ambiente di lavoro. I rampanti di oggi, che non sono più i Gordon Gekko del film o i «padroni del mondo» di Tom Wolfe, hanno un obiettivo su tutti: lavorare a Google. L'unica alternativa, se proprio non si sopporta di doversi vestire da nerd con i pantaloni troppo larghi e troppo corti e la maglietta con una stampa di ispirazione internettiana, è indossare un girocollo e mandare un curriculum ad Apple. Si vestono così pure i commessi dei negozi e si danno certe arie come se li avesse assunti direttamente Steve Jobs buonanima.

Del resto se sei nel posto di lavoro giusto sei il padrone del mondo, anche se sei un nerd. Vedi la battuta di uno dei protagonisti di Revolution, la serie tv americana del momento ambientata in un mondo in cui la corrente elettrica se n'è andata per non tornare più, un posto selvaggio in cui a malapena ci si ricorda com'era prima il pianeta: «Prima che andasse via la luce lavoravo in un posto che si chiamava Google. E avevo 80 milioni di dollari in banca».
Così si costruisce un mito. Nell'ampia pubblicistica la sede dell'azienda a Mountain View, California, è sempre colorata, allegra, moderna ed è leggendaria la sala giochi interna dove la pausa cappuccino e biliardino che per un ministeriale ha il marchio del fancazzismo, si trasforma magicamente in pensatoio. I capi sono comprensivi e geniali e in più non portano la cravatta. Le paghe sono generose e non ci sono colleghi noiosi ma al massimo creativi dalla personalità originale.

Non per niente il motore di ricerca più cliccato del modo riceve ogni anno un milione di richieste di assunzione. Superano la selezione solo un candidato ogni 137. Il che rende Google dieci volte più selettiva della selettiva università di Harvard, dove gli ammessi sono uno su quattordici. Il mito, specialmente in tempo di crisi, resiste a ogni colpo, rimbalzano perfino le accuse di non rispettare la privacy dei «clienti» e di cedere troppo facilmente alle pressioni della censura cinese.

Per ora è solo la letteratura a gettare ombre. Douglas Coupland, quello di Generazione X, in J Pod racconta di un'azienda della net economy burocratica e contorta in cui i membri di un reparto vengono scelti da un meccanismo automatico che raggruppa, insensatamente, tutti i dipendenti i cui cognomi iniziano con la J. E da pochi giorni è uscito il libro di William Poundstone che va al cuore del problema cercando di rispondere alla domanda del titolo: Sei abbastanza sveglio per lavorare in Google? Chi ha sostenuto un colloquio, svela Poundstone, si è trovato a dover affrontare i quesiti più squinternati e incomprensibili dai tempi di «Chi Vespa mangia la mela».

I selezionatori possono chiederti cose come: «Elabora un piano di evacuazione di San Francisco». Oppure «Avete un milione di fogli di carta, ciascuno dei quali è il curriculum di uno studente universitario. Dovete ordinarli secondo l'età dello studente. Come fate?».
Come si risponde a domande del genere? E serve di più essere geni o furbetti del quartierino? L'autore del saggio consiglia innanzitutto di non accontentarsi delle soluzioni semplici. Meglio le risposte altisonanti e astruse per far capire quanto siete geniali. Conclusione? «La new economy -scrive Poundstone- ne ha preso atto. In un colloquio si può stabilire se una persona ha una conversazione gradevole, e si può fare qualche domanda tecnica per scartare chi è decisamente incapace, ma, al di là di questo, tanto varrebbe affidarsi al lancio dei dadi, ha scritto Bram Cohen, fondatore dell'azienda di software Bit-Torrent.

Il responsabile delle risorse umane della Google, Laszlo Bock, ha detto in modo ancor più succinto: i colloqui sono del tutto inattendibili nel prevedere le prestazioni». Stai a vedere che rivalutano le raccomandazioni all'italiana.

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