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Schettino naufraga ancora: niente libertà

Schettino naufraga ancora: niente libertà

Aveva assaggiato la libertà il giorno di Pasqua. Era andato a pranzo, con tanto di permesso del magistrato di sorveglianza, a casa della sorella. Pochi passi per provare a tornare nella vita. Forse si era illuso. Niente da fare: Francesco Schettino resta agli arresti domiciliari. Una mezza sconfitta che si può però leggere anche come una vittoria a metà. La procura di Grosseto, già indispettita perchè nessuno l’aveva avvisata del banchetto domenicale, aveva chiesto il ritorno del comandante in cella. Insomma, fra i due estremi la cassazione ha scelto la via mediana, confermando il provvedimento adottato il 7 febbraio dal tribunale del riesame. Schettino per il momento non può uscire dall’appartamento di Meta di Sorrento, dov’è blindato da quasi tre mesi. Del resto, già in mattinata si era intuito che probabilmente sarebbe finita così: in aula, nel corso dell’udienza, la procura generale della cassazione si era dissociata dalla procura di Grosseto e aveva puntato sulla soluzione di mezzo, ovvero andare avanti senza modificare la situazione attuale.
Insomma, non cambia nulla. L’indagine è ancora in corso ed è in pieno svolgimento un complesso incidente probatorio, affidato ad un pool di scienziati, che potrebbe consegnare agli inquirenti alcune risposte decisive per il processo. Schettino deve restare acquattato nella sua abitazione: il giorno di Pasqua aveva avuto l’ok ad un fuori programma per trascorrere insieme ai parenti le ore della Pasqua. Una troupe del Tg5 l’aveva intercettato mentre camminava per le vie del paese insieme alla sorella. Schettino, che indossava camicia azzurra e giacca blu, era apparso appesantito dal forzato ozio di queste lunghe settimane. Il comandante della Concordia, che indossava occhiali da sole a nascondere gli occhi, aveva probabilmente messo in conto qualche reazione acida allo scoop della rete Fininvest. Non sapeva però che la notizia avrebbe provocato l’ira della procura di Grosseto. «Nessuno - aveva detto ai microfoni del tg5 il procuratore Francesco Verusio - ci ha mai chiesto un parere che, comunque, sarebbe stato negativo». Ora Verusio sembra più soddisfatto: «Preferisco aspettare e leggere le motivazioni. Comunque è stata riconosciuta la validità dell’impianto accusatorio. Di certo sarebbe stato assurdo metterlo fuori».
Anche se sono passati quasi tre mesi dalla tragedia della nave, naufragata sugli scogli del Giglio, la vicenda non è stata ancora riassorbita, le ferite sanguinano, e Schettino resta un personaggio troppo ingombrante che non può essere gestito facilmente. Occorre accontentarsi, da una parte e dall’altra. «Schettino non aveva troppe speranze - spiega all’Ansa dopo il verdetto l’amico di famiglia Carlo Sassi, ex sindaco della cittadina - ma nonostante ciò, tutti i suoi familiari sono rimasti in casa, in attesa del responso. A Meta tutti si aspettavano una decisione diversa perchè sin dal primo momento hanno creduto che il comandante, ritenuto un ufficiale moto esperto, abbia fatto tutto il possibile per limitare i danni nell’incidente della Concordia».
In verità testimonianze e filmati inchiodano Schettino ai suoi ripetuti errori, prima e dopo l’impatto, la sera del 13 gennaio, alle sue indecisioni, alla sua superficialità e alla sua criminale lentezza nel reagire al dramma che è costato la vita a trentadue persone. E all’orizzonte si annuncia un processo difficile, tutto in salita, in cui il comandante dovrà difendersi da accuse pesantissime che vanno dall’omicidio plurimo colposo al naufragio e all’abbandono di nave.

Ma lo scaricabarile, fra Schettino e i suoi ufficiali e fra il ponte di comando della Concordia e l’unità di crisi della Costa Crociere, è ancora in corso e non si può sapere come i giudici valuteranno i comportamenti dei protagonisti del naufragio.

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