Lo schiaffo europeo per Matteo Renzi è di quelli che si fanno sentire. Una Commissione ormai agli sgoccioli del suo mandato rende pubblica il suo giudizio sull'Italia. E il verdetto, nonostante le mediazioni notturne che «ammorbidiscono» la formulazione, non è certo esaltante per il premier, rimandato a settembre con un bel po' di compiti da fare durante l'estate. Compiti scritti, perché si sa che il premier italiano sugli orali - ovvero su promesse e battute - è imbattibile.
Stavolta, però, non basteranno le parole e bisognerà mettere sul piatto risorse e rassicurazioni concrete. Perché le puntualizzazioni di Olli Rehn non consentono di liquidare la pagella comunitaria con il consueto «ollistaisereno», di lettiana memoria o con qualche battuta affilata sull'«Europa dei burocrati», innamorata dell'austerity. Per questo già mercoledì, nella riunione convocata con i ministri per iniziare a definire una sorta di «agenda Italia» per il semestre Ue, sarà inevitabile riflettere su come rispondere concretamente alla bacchettata comunitaria.
Certo Renzi può festeggiare la concessione in extremis del rinvio di un anno del pareggio strutturale. Ma per questa cambiale deve dire grazie al commissario uscente Antonio Tajani, impegnato fino a notte fonda a far togliere dalla bozza la frase con cui si chiudeva alla richiesta italiana di una deviazione dal percorso concordato di aggiustamento dei conti pubblici. E in ogni caso il «segnale» spedito all'Italia è chiaro. Le riforme renziane non lasciano tranquilli i controllori. Tanto più che i 9 miliardi mancanti sono sostanzialmente quelli della copertura degli «80 euro», misura «acchiappaconsenso» che tanto ha fatto discutere in questi ultimi tre mesi, diventando arma fondamentale di propaganda elettorale. Insomma italiani preparatevi a mettere mano al portafoglio perché tutto il quadro presentato dall'inquilino di Palazzo Chigi, previsioni macroeconomiche in primis, appare improntato a un certo «ottimismo». Senza contare la possibilità che qualcosa in Parlamento possa andare storto e l'impianto già debole possa saltare. Una raffica di bacchettate che fa capire che sarebbe risultata più coerente una esplicita bocciatura. Ma evidentemente le ragioni della politica hanno prevalso e Bruxelles si è attestata sulla linea del «dovrei, ma non posso».
La strategia di risposta dell'esecutivo sembra quella del tirare dritto, facendo finta di niente, contando sui nuovi equilibri politici e sul passaggio di testimone alla nuova Commissione, un ricambio che avrà inevitabilmente tempi non brevissimi. Niente di meglio, in questo senso, del tweet con cui il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan si sofferma solo sulla parte migliore del giudizio. «La Commissione Ue apprezza le riforme italiane. Debito alto, lo sapevamo: acceleriamo riforme e privatizzazioni per ridurlo in modo sostenibile». Oppure delle parole con cui Pina Picierno liquida le critiche come una sorta di pratica jettatoria. «Tanto rumore per nulla. Lo svolazzare inquieto dei soliti gufi è stato messo a tacere da Bruxelles». Riferimento ornitologico ripreso anche dal vicesegretario del Pd Deborah Serracchiani. «Il governo è più avanti della commissione sulle riforme, anche i gufi di Bruxelles trovino pace».
La risposta dell'opposizione è diretta. «L'incantatore di serpenti Renzi fuori dai confini non funziona» dice Daniela Santanchè. «La Commissione con più garbo rispetto ai precedenti governi, boccia le ricette economiche del governo, nonostante la difesa d'ufficio di Padoan.
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