Scorda due persone agli arresti: la Cassazione grazia il giudice

Il magistrato era stato punito dal Csm con il trasferimento perché aveva dimenticato per 56 giorni due uomini ai domiciliari. Per la Corte Suprema non merita sanzioni

Scorda due persone agli arresti: la Cassazione grazia il giudice

Tenere due persone cinquantasei giorni agli arresti illegalmente? Una bazzecola. Se un magistrato ha altro da fare, è comprensibile che si dimentichi di avere arrestato due cristiani e che se ne ricordi solo un paio di mesi dopo. Al massimo, si merita un buffetto. E se la legge prevede che debba venire trasferito per punizione - si badi: trasferito, non licenziato - è la legge ad essere sbagliata. Troppo severa, perché non fa i conti con il disagio che al giudice provocherebbe il cambio di sede (del disagio dei due sciagurati tenuti illegalmente agli arresti, chi se ne infischia). Per rimettere le cose a posto, ed evitare al giudice sovrappensiero di incorrere nel trasferimento, scende in campo persino la Cassazione, con il suo collegio più autorevole, le Sezioni Unite, chiedendo che la pratica venga portata ancora più in alto: davanti alla Corte Costituzionale.

È questo il contenuto della sentenza che pochi giorni fa le Sezioni Unite hanno depositato, accogliendo il ricorso del giudice: e che sembra fatta apposta per fare discutere, in questi giorni in cui il tema delle colpe dei giudici spacca il Parlamento. Il magistrato X era in servizio nel 2010 al tribunale di Cesena, dove erano sotto processo due cittadini accusati di lesioni. Il 5 ottobre 2010 scaddero i termini massimi di custodia cautelare, ma non accadde nulla. Il giudice X, evidentemente oberato di lavoro, non diede segni di vita. Fino al 30 novembre, quando firmò il provvedimento che liberò i due. Finì sotto processo disciplinare e il Csm lo condannò per avere agito «con negligenza inescusabile» e perché «arrecava un ingiusto danno ai predetti imputati che sono stati ingiustificatamente ristretti sine titulo per un mese e venticinque giorni», e gli inflisse la pena della censura e del trasferimento di sede. Trattamento morbido: X fu condannato solo per avere leso i diritti degli imputati violando i propri obblighi di «imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo e equilibrio», ma prosciolto dall'accusa di avere commesso «grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile». E già qui ci sarebbe da chiedersi in che modo, se non per ignoranza o negligenza, un giudice possa tenere agli arresti illegalmente un essere umano.

Ma al magistrato di Cesena il trattamento soft del Csm non basta. Troppo severo, soprattutto quando gli ordina di cambiare sede. Come non tenere conto del trauma del trasloco, dei soprammobili da imballare, delle amicizie da rifare? E così X si rivolge alla Cassazione, con un ricorso che andrebbe riportato per intero: perché afferma addirittura che il Csm non avrebbe tenuto conto della «scarsa rilevanza del fatto» e che comunque lo spiacevole episodio «era conseguenza delle carenze organizzative dell'ufficio» e (e qui si sfiora il surreale) «non aveva compromesso la sua immagine di magistrato».

Ci si poteva aspettare che la Cassazione, davanti alla tesi secondo cui due mesi di arresto illegale erano fatto «scarsamente rilevante» si mettesse a ridere e cestinasse il ricorso. Invece accade il contrario: le Sezioni Unite scrivono, con un passaggi che gronda umana simpatia per il collega, che «la misura del trasferimento di sede o di ufficio è particolarmente afflittiva per il magistrato, sotto il profilo sia morale che materiale».

È vero che è la legge a prevederlo, ma è una legge troppo crudele, perché punisce allo stesso modo colpe di ogni genere. E le Sezioni Unite trasmettono tutto alla Corte Costituzionale, perché addolcisca in qualche modo la legge: e permetta al magistrato distratto di ritornare nella sua Cesena.

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