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Se i tagli "tecnici" penalizzano l'eccellenza

Con tagli del genere alle nostre università, quel poco di buono che abbiamo finirà in rovina

La Scuola Normale di Pisa, uno degli atenei più famosi d'Italia
La Scuola Normale di Pisa, uno degli atenei più famosi d'Italia

Abbiamo un governo composto da tecnici, persone competenti capaci di «gestire sistemi complessi» (secondo una locuzione tanto usuale quanto insensata); talmente tecnici da considerarsi talora persino insufficienti e dover ricorrere a supertecnici. Ma, supremo paradosso, accade che i frutti di tali competenze in sistemi complessi siano talvolta così elementari e discutibili da chiedersi se v'era bisogno di tanta «scienza» per produrli.

Prendiamo il caso della spending review per le università. Si è seguito il criterio di calcolare attraverso il Siope (Sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici) il totale dei costi intermedi di ogni ateneo, che includono tutte le spese di produzione al netto degli stipendi del personale fisso. Questa cifra complessiva è stata divisa per il numero di dipendenti dell'amministrazione, ottenendo così una frazione tanto più alta quanto maggiore è la spesa e minore il numero dei dipendenti. Si è quindi calcolata la media nazionale ottenendo un costo standard al disopra dei quale si taglia. Il risultato è che le istituzioni di solito considerate come le più prestigiose dovranno affrontare i tagli più pesanti: si va dal 60,2% dell'Istituto di Studi superiori di Pavia, al 48,5% della Scuola superiore S. Anna di Pisa, al 27,5% del Politecnico di Milano, al 22,8% della Scuola Normale Superiore di Pisa, al 12,4% del Politecnico di Torino; e via via scendendo. Le uniche che si salvano sono le università di Messina, di Palermo e di Foggia e di Napoli. È un esito che rischia di riattizzare malamente le contrapposizioni nord-sud: da un lato, v'è chi dirà che finalmente si è fatta giustizia della denigrazione del meridione, dall'altro chi troverà nel risultato una prova che il metodo seguito è sbagliato.

Lasciamo da parte le polemiche e atteniamoci ai fatti: come è stato possibile arrivare a un simile risultato paradossale? La risposta è semplice. Nelle «spese di produzione» è finito tutto: spese materiali come la manutenzione degli immobili e il riscaldamento, spese per la formazione, per il software, per i laboratori, per la strumentazione, per la ricerca e per la sua internazionalizzazione. Le istituzioni più prestigiose attirano più fondi di ricerca anche dall'estero e da privati - non è di moda considerare questo come un merito? - e quindi spendono di più. Ma i parametri dei «tecnici» sono ciechi: guardano alla spesa senza analizzarne la qualità. Peggio ancora, non analizzano le fonti delle risorse, e quindi propongono di punire comportamenti che dovrebbero essere premiati. Non solo: spendere molto con poco personale è apprezzabile. E invece si considera virtuoso chi ha un basso rapporto tra spese e personale…

Le nostre università hanno, in genere, infrastrutture mediocri, scarsi supporti per gli studenti, non costituiscono poli di attrazione internazionale. Con tagli del genere, quel poco di buono che abbiamo finirà in rovina. Viene da chiedersi se non sia vero quel che taluno dice in giro: e cioè che esiste un intento determinato di radere a zero l'università italiana in attesa che emerga qualcos'altro che non si sa bene cosa sia. È peggio di così. Non c'è alcun disegno, bensì soltanto feticismo dei numeri. C'è il fatto malinconico di un governo pieno di professori che non riesce a trattare il sistema universitario altro che con dei metodi che forse possono funzionare per un'azienda di latticini ma di certo non per un sistema il cui fine è la conoscenza, la formazione e la ricerca.

Si ripete che il governo dei tecnici sia una parentesi in attesa che la politica occupi di nuovo la scena. Ma non tutti sono d'accordo. Anzi c'è chi pensa che il futuro debba essere all'insegna del commissariamento della politica da parte dei «competenti». Di recente si è tenuto un convegno promosso dalla Società italiana di scienze politiche volto ad affermare che la politica da sola non ce la fa a gestire le «strutture complesse» e che occorre metterla sotto tutela creando un'agenzia indipendente dalle maggioranze politiche, che recluti i propri membri in totale autonomia e con criteri meritocratici, per fornire analisi rigorose dei provvedimenti in discussione in modo da guidare le scelte della politica, e poi valutazioni rigorose dei risultati ottenuti.

Un'autentica sospensione della democrazia, in cambio di che cosa? Di indirizzi del livello di quello che abbiamo appena visto?

C'è da preoccuparsi seriamente dell'acquiescenza che circonda il superpotere della tecnocrazia. Purtroppo, la politica italiana fa di tutto per rendersi disgustosa e non offrire alternative di sorta.

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