Certo oggi è facile: Little Tony se ne è andato e quasi tutti piangono lacrime presunte sincere. L'Elvis italiano. Il precursore. Il professionista sincero. Ma basta andare indietro nel tempo per rendersi conto di come Antonio Ciacci in arte Little Tony, nato a Tivoli ed esploso a Londra, sia stato spernacchiato per decenni dalla critica musicale e da tanta parte di chi oggi lo piange (giustamente) come uno dei pochi musicisti riusciti a importare qualche novità nel magma fossile della musica italiana. Ieri (...)
(...) Dario Salvatori ha scritto su Dagospia che «a Roma il rock'n'roll è esploso nel 1956 quando Little Tony improvvisò Be bop a lula a San Giovanni angolo via Sannio». Ed è vero. Di fronte a lui, quella sera c'erano «quattro coatti unti e bisunti» che poco dopo sarebbero diventati milioni. Nel frattempo Little Tony, ancora livido dalle botte del padre che non accettava un figlio rock'n'roll, se ne andò a Londra dove sbarcò nella Top 20 con il brano Too good scritto da un autore di Elvis Presley (il suo idolo) e fu ospite fisso in un programma che ha fatto storia nella musica inglese come Discoring qui da noi: Wham!. Poi tornò in Italia, cantò 24mila baci con Celentano al Festival di Sanremo, girò venti «musicarelli» in dieci anni e fu spazzato via dal cosiddetto rock duro e puro, dal beat, dai dischi politici. Era «out», non abbastanza impegnato, poi quel ciuffo era così folcloristico... Non se lo filarono neppure quando cantò la versione italiana di Vincent di Don McLean tradotta nientemeno che da De Gregori nel 1973: zero. Lentamente e inesorabilmente Little Tony, ossia l'artista che tra i primi, con Gaber e Celentano e marginalmente anche con Bobby Solo, tradusse il rock'n'roll in italiano, per la critica è disceso nel folclore. Il pubblico lo amava. Ma la stampa no. E di conseguenza i soliti salotti radical chic. Per capirci, Little Tony era considerato al massimo un artista da palco in prima serata dei Migliori anni su Raiuno, non certo da divano chic in seconda serata di Serena Dandini. E gli opinionisti o gli intellettuali ogni volta non esitavano a usare Little Tony come termine di paragone del trash, sapete quello con il ciuffo impomatato, il Cuore matto e la passione per quelle canzoni che iniziavano con un «you ain't nothin but a hound dog» e le mosse scatenate. Roba cheap, sapete, mica intellettuale. A una puntata del Dopofestival del 2003 (era in gara in coppia con Bobby Solo) fu quasi spernacchiato neppure fosse un esordiente allo sbaraglio. E figuratevi quando nel 1985 formò i Ro.Bo.T con Bobby Solo e Rosanna Fratello: fu trattato come un fenomeno da baraccone anche da chi esaltava i fenomeni da baraccone spacciati dall'estero. Perciò in una delle ultime interviste Little Tony ha detto che «la critica non ha mai capito che con la melodia non c'entro nulla, io ho lo swing, non le cosiddette note tenute».
di Paolo Giordano
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