In segreto Napolitano tifa Renzi

Da Mazzei a Ranieri, nel cerchio magico del rottamatore quanti uomini vicini a Napolitano

In segreto Napolitano tifa Renzi

L'endorsement ufficiale no, quello Matteo Renzi se lo deve proprio scordare. Al massimo il candidato può provare a riciclare la foto di protocollo scattata la settimana scorsa a Scandicci, con il presidente che arriva per l'inaugurazione dei corsi per magistrati e lui che lo accoglie con tanto di fascia tricolore. Sorrisi, strette di mano e tanta simpatia. Nulla di più, sostengono sul Colle, perché «il capo dello Stato non può, e non vuole, entrare nelle dinamiche interne dei partiti».

Eppure, al di là delle ovvie smentite, tra il vecchio presidente e il giovane sindaco di Firenze non ci sono soltanto dei normali «buoni rapporti» ma vera affinità politica. Basta guardare chi c'è nel cerchio magico di Renzi e trovarci Alfredo Mazzei, ex tesoriere del Pd partenopeo, vicepresidente della fondazione Mezzogiorno Europa, il pensatoio voluto da Giorgio Napolitano e da Andrea Geremicca: Mazzei si è dato molto da fare per Matteo, dirottando molti dalemiani campani verso il rottamatore.

E basta vedere quanti Neapolitan's lavorano sottotraccia. Tra questi, pare, forse, dicono, anche Umberto Ranieri, responsabile per il Mezzogiorno dei democratici, fedelissimo da sempre del presidente. Ranieri tra l'altro è tra i promotori del famoso appello a favore dell'agenda Monti: secondo il documento il Pd, se vince le elezioni e ottiene Palazzo Chigi, deve completare le riforme del Professore. Grosso modo è la posizione di Matteo Renzi, molto meno quella di Pier Luigi Bersani che, una volta al governo vuole dare un segno di discontinuità. Tra gli altri firmatari, non a caso, figurano personaggi come Piero Ichino, Enrico Morando, Giorgio Tonini e Paolo Gentiloni, i liberal del partito, tutti legati al Quirinale, tutti sostenitori di Renzi.

E se pure Matteo non avrà l'appoggio esplicito del capo del Stato, intanto si può accontentare di quello di un grande amico di Napolitano, Biagio De Giovanni. Il filosofo nel 1989 invitava alla «detogliattizzazione» del Pci, ora sulla Stampa batte le mani alla rottamazione. «Di un Renzi c'era necessità, ha capito che c'era un bisogno e l'ha interpretato. Ci voleva qualcuno che mettesse in discussione la continuità burocratica dell'attuale gruppo dirigente che ha fatto fallimento».

Quanto al presidente, lui certo non parla delle primarie. Ma da tempo invita i partiti a cambiare pelle «altrimenti i cittadini non vi capiranno più». Largo ai giovani, ripete spesso: «Il banco di prova delle forze politiche sta nella capacità di aprire nuovi spazi di partecipazione». E poi, quasi ogni giorno batte su un altro tasto: la politica dei conti in ordine deve continuare perché l'Italia è migliorata ma non guarita. Lo sostiene anche dall'Aja, dove è andato in visita di Stato per convincere i rigidi olandesi che, chiunque vinca le elezioni, il nostro Paese rispetterà gli impegni con l'Europa e proseguirà con il rigore. «In dodici mesi abbiamo varato una serie impressionante di riforme. Abbiamo fatto scelte difficili e severe, se cambiassimo rotta adesso, butteremo un anno di sacrifici». Napolitano parla agli olandesi ma ce l'ha con la nomenclatura Pd, sempre più in sofferenza nel sostegno al governo. Bersani ha criticato con durezza la legge di stabilità, ma per Napolitano dopo Monti c'è Monti o uno che gli somigli tanto.

Dunque, meglio Renzi? Matteo su questo tace: manca un mese alle primarie e il sindaco non vuole fare passi falsi. Si guarda bene dal provocare imbarazzi e dolorose prese di distanza mettendo il cappello sul capo dello Stato. «Il presidente è sempre impeccabile.

Diciamo la verità, è stato lui a rottamare un'intera classe dirigente dando il via al governo Monti. Come un preside che chiama il supplente perché nessun professore è in grado di fare lezione. Il primo rottamatore è lui».

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