RomaTirare dritto sul semipresidenzialismo. Sul punto il Cavaliere è più che convinto, tanto che al Senato Pdl e Lega continuano a spingere sull'acceleratore nonostante l'Aventino di Pd e Idv che hanno deciso di abbandonare polemicamente l'aula. Berlusconi, però, non ha dubbi e chiede ai suoi di stringere i tempi il più possibile perché «quella del semipresidenzialismo» può essere una bandiera importante su cui costruire, magari anche per la prossima campagna elettorale, «un'iniziativa politica forte».
Non è un caso, dunque, che proprio ieri Alfano abbia rivolto un appello al Pdl affinché «non si trinceri dietro il problema dei tempi» perché «ci sono sia per il presidenzialismo che per la legge elettorale». Un modo per cercare di ributtare la palla dall'altra parte e iniziare a mettere nero su bianco quello che potrebbe essere un mantra dei prossimi mesi: il Pdl la riforma semipresidenziale era pronto a farla ma il Pd ha preferito lasciare nelle mani dei segretari di partito il potere di eleggere il presidente della Repubblica.
In verità, sul fatto che i tempi siano strettissimi ci sono pochi dubbi. Il voto definitivo di Palazzo Madama è infatti previsto per il 25 luglio e, bene che vada, il testo non arriverà in Commissione alla Camera prima di settembre. Difficile, dunque che Montecitorio (dove i numeri di Pdl e Lega sono decisamente più bassi) possa votarla prima di ottobre. E questo solo per la prima lettura. Se però - e il Cavaliere un po' pare sperarci - alla Camera il testo dovesse passare il segnale sarebbe forte. E potrebbe mettere in seria difficoltà Bersani. Tant'è che ieri Quagliariello, vicecapogruppo vicario del Pdl al Senato, invitava il Pd ad avere una posizione chiara e rinunciare all'Aventino: «È legittimo essere contrari all'elezione diretta del presidente della Repubblica per convinzione, per mancanza di coraggio o anche perché si ritiene che non ci siano i tempi. È grave non assumersene la responsabilità di fronte a un voto parlamentare».
Se il semipresidenzialismo può anche diventare una bandiera su cui costruire un'iniziativa politica seria in vista delle elezioni del 2013, il problema al momento resta sempre quello della tenuta del Pdl. Il voto di ieri alla Camera su un provvedimento così importante come il Fiscal compact è infatti la fotografia di un partito che va in ordine sparso: 5 contrari, 43 astenuti, 55 assenti (tra cui Alfano). In tutto, insomma, sono mancati ben 103 voti. Un problema, questo, che va oltre ben oltre la nota insofferenza degli ex An verso il Cavaliere e il suo appoggio a Monti. Un fastidio dettato dalla convinzione che Berlusconi non escluda la possibilità di un possibile governo di larghe intese nel 2013, cosa che potrebbe comportare una drastica riduzione dei posti in lista per chi questa soluzione non la sosterrebbe mai (va bene una diaspora di pochi deputati, ma certo il Cavaliere non vuole ritrovarsi con un gruppo spaccato già all'inizio della prossima legislatura).
Berlusconi, intanto, continua a «sondare» il terreno tra incontri, sondaggi riservati e un fiume di bozzetti per il nuovo simbolo del partito. Che secondo indiscrezioni diffuse ieri in una nota dei Promotori della libertà dovrebbe chiamarsi «L'Italia che verrà» ed avere un nuovo inno che si intitolerà «Forza Italia» (ma non sarà quello il nome del partito «per evitare polemiche con gli ex An»). In verità al momento di certezze sembrano essercene poche.
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