MIlano - Undici ore di terrore nella mani di tre malviventi il cui capo vuole trattare con Silvio Berlusconi. E solo dopo aver stabilito il contatto diretto con l'ex premier, Giuseppe Spinelli e la moglie vengono liberati: i banditi lasciano la loro abitazione di Bresso. Il classico sequestro lampo che ieri all'alba ha portato in manette sei persone: tre italiani, tra cui il capo, e tre albanesi, la manovalanza. L'inchiesta ora prosegue per capire se sia stato pagato anche un riscatto: l'entourage del Cavaliere smentisce ma in un'intercettazione, due banditi parlano di 8 milioni da portare in Svizzera.
Giuseppe Spinelli, personaggio schivo e un po' grigio, ha 71 anni, gran parte dei quali trascorsi come «ragioniere» del presidente di Mediaset. Lunedì 15 ottobre, come al solito, si ferma a lungo nel suo ufficio di Milano 2 e solo dopo le 21.30 chiama la moglie Anna per avvertirla che sta rientrando per la cena. Arriva a casa alle 22, sale con l'ascensore fino all'ottavo piano e quando apre le porte si ritrova faccia a faccia con due persone, cappuccio in testa e pistole in mano. I due lo spingono brutalmente dentro casa, rompendogli gli occhiali e procurandogli un taglio al volto. Più tardi gli investigatori accerteranno che si tratta dei due albanesi, con il terzo connazionale giù a fare da palo.
Una volta dentro gli dicono di stare tranquillo, che non succederà nulla, devono aspettare il capo. Che arriva solo verso le 2 e spiega a Spinelli il suo obiettivo: vendere a Silvio Berlusconi per 35 milioni prezioso materiale sul «Lodo Mondadori». Il «ragioniere» spiega che potrà rintracciare il Cavaliere alla mattina. L'attesa si prolunga fino alle 9 di martedì 16, quando Spinelli parla con l'ex premier. Inizia una sorta di trattativa, Berlusconi riesce a prendere tempo, ottenendo che i tre lascino l'abitazione di Bresso, quindi chiama Spinelli a rapporto e, quando ha ben chiaro cosa sia successo, lo rispedisce a casa con la scorta in tutta fretta, per metterlo al sicuro insieme alla moglie. Dopo un pomeriggio a colloquio con gli avvocati, mercoledì 17 decide di rivolgersi a Ilda Boccassini. E il pubblico ministero incarica delle indagini la sezione di Polizia giudiziaria di Palazzo di Giustizia, diretta da Marco Ciacci, e la squadra mobile, coordinata da Alessandro Giuliano.
Le vittime riferiscono agli investigatori di aver notato movimenti strani negli ultimi mesi e soprattutto di aver ricevuto ancor più strane telefonate. Un esame dei tabulati consente di verificare come le chiamate siano partite da cabine tra Varese e Milano, usando sempre la stessa tessera prepagata. Vengono esaminati i numeri dei telefonini agganciati dalle celle presso i telefoni pubblici nelle ore delle chiamate, riuscendo a isolare quattro numeri. Ma risultano intestati a persone inesistenti. Si verifica con ancora maggiore attenzione il traffico trovando che uno di questi numeri procede in «accoppiata» con un altro e questa volta si arriva a un nome e cognome: Alessio Maier, di Malnate, provincia di Varese. Da lui si risale poi a Francesco Leone, il capo, e a Pierluigi Tranquilli. E i cellulari tradiranno poi anche gli albanesi: uno di loro usa con disinvoltura nello stesso apparecchio sia la Sim «anonima» sia una intestata a lui. Il resto sono conferme, come la vettura di un albanese fotografata dall'autovelox di Bresso subito prima e subito dopo il sequestro o le tracce del Dna di Leone trovate in casa Spinelli. L'altro giorno gli investigatori intercettano Maier e Leone mentre parlano di 8 milioni da spostare da due banche italiane a una svizzera e decidono di intervenire.
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